Fata Morgana: l’omaggio alla terra di Herzog
Il 22 aprile è la giornata mondiale della Terra, la celebriamo con la recensione di Fata Morgana di Werner Herzog, una delle tante opere del regista tedesco dove la terra è protagonista assoluta. Penso anche alla foresta pluviale e all’acqua acqua in ogni dove di Aguirre furore di Dio, ma colpa anche del grandioso interprete Klaus Kinski, il protagonista assoluto è il Capaneo da lui interpretato.
Fata Morgana è il risultato di alcune delle riprese effettuate in circa due anni di viaggi nel continente africano. Non un film, non un documentario, ma lo scorrere delle immagini della terra africana che paiono paesaggi di arte concettuale, dipinti da Piero Guccione, accompagnate da musiche altrettanto concettuali quantomeno nel prologo.
Inizia con un aereo dai contorni sfumati, quasi fosse una visione mistica, un angelo del cielo, che atterra su una pista per otto volte consecutive.
Poi, nel primo movimento “La creazione” di Fata Morgana, diventa subito protagonista assoluta la terra, che è ripresa in lunghissimi piani sequenza sempre lenti e incedenti verso destra (eccetto che nell’ultimo movimento del film). Vagamente la Terra è solcata prima da una fauna morta ed essiccata al sole, piatta come i paesaggi, dove raramente si elevano elementi verticali (persino gli alberi non superano mai le dimensioni di un arbusto, quasi che tutto debba rimanere raso suolo). Fino all’inquadratura di un bambino africano con in braccio una volpe albina. Poi tanti bambini, e solo alla fine del prologo un uomo, presenze umane tutte battezzate dalla voce sottofondo in tedesco come creature, e l’uomo del finale è una creatura che si fa fantasma per l’alone sabbioso che le contorna al suo attraversamento delle dune. Il paesaggio terroso è sempre silenzioso se non mostrato in tutta la sua armonia con musiche di Händel, Mozart, Blind Faith, François Couperin, con ballate dedica te a donne di Leonard Cohen.
Soltanto nel secondo movimento si vedono nitidamente un uomo e una donna, ma il titolo ci avverte che siamo ne Il Paradiso, allora il sospetto è che siano Adamo ed Eva. La voce avverte: “Nel Paradiso noi attraversiamo la sabbia, senza vedere le nostre ombre. C’è un paesaggio persino senza il significato più profondo”. Paradiso, presenze senza ombre: forse sono anime? E riprende di nuovo carcasse di animali essiccati al sole alternato a un varano vivo perché capace di sopportare temperature torride, vivo, ma catturato, stretto in gola dall’uomo esploratore. La voce finalmente dichiara: “Nel Paradiso, il paesaggio è come Dio ha ordinato debba essere”. Forse il paradiso è stato creato da pazzi come Suzanne di Choen, che De Andrè rifece traducendone il testo originale, senza perdere tutto il toccante lirismo e che si sente in sottofondo. E anche il Paradiso si chiude con un fantasma incedente nella stessa direzione della telecamera sospeso tra terra e mare. Deve essere quello di Marianne di Choen. “ora addio, Marianne, è ora che ricominciamo A ridere e piangere e piangere e ridere di tutto quanto ancora”.
E così inizia l’ultimo movimento “L’età dell’oro” che entra in un interno dove un duo suona e canticchia il leitmotiv di una canzone popolare spagnola, mentre turisti sbucano dalle cavità rossicce dell’isola di Lanzarote: ormai la Terra è corrotta dagli uomini. Ma a fine esibizione dell’improbabile duo, la voce dichiara: “Nell’età dell’oro, uomo e moglie vivono in armonia”. Adamo ed Eva del primo movimento si sono ora evoluti. Eppure “Non si sono dimenticati di pregare.. la vista è terrificante e quasi il silenzio è necessario. Ci chiediamo dove stiamo andando e il silenzio è la risposta. Stiamo planando attraverso il paesaggio. Non possiamo sostenere a lungo questa vista e una voce più interiore ci esorta a guardare la crescita delle piante che noi stiamo forzando dalla terra”.
E come se volesse tornare indietro nel tempo, la carrellata del piano sequenza inverte la rotta e stavolta muove verso sinistra, ma sempre raso terra. Una terra bellissima.