Tumore al cervello: una rete per catturare il glioblastoma
Purtroppo di quello che vorrei fosse argomento principale di questo blog, ossia il tumore cervello, ne parlo sempre poco, perché poco se ne parla. E anche la ricerca troppo complicata su questa materia, non favorisce disponibilità di argomenti. La ricerca è complicata principalmente da due fattori: innanzitutto il tumore al cervello è patologia rara. In secondo luogo, sono poche le scoperte su esso poiché il cervello è immerso nel liquor cerebrale che, isolando l’organo, da un lato gli impedisce, per esempio, di sviluppare metastasi, dall’altro lato però le terapie, specialmente farmacologiche, quindi la chemioterapia hanno difficoltà a oltrepassare questa barriera e, da qui si rendono troppo spesso inefficaci.
Per questo sono lieta di diffondere la notizia che ci sono scoperte importanti sul fronte cancro al cervello, anzi sul più aggressivo dei cancri cerebrali: il glioblastoma multiforme, uno dei tumori cerebrali più aggressivi, con una sopravvivenza media di poco superiore ai 12 mesi; è il tumore con la prognosi più severa: la sopravvivenza media è poco superiore ai 12 mesi e soltanto il 5% dei pazienti sopravvive oltre i 5 anni. Su questo tipo di cancro cerebrale non c’è stato alcun significativo miglioramento diagnostico e terapeutico nel corso degli ultimi 30 anni.
Invece ora è stata, tuttavia, studiata una rete di dimensioni microscopiche (come suggerisce anche il nome di questo strumento: micromesh) che, circondata la massa tumorale, si adatta a essa e rilascia farmaci specifici.
La ricerca è stata condotta dal Children’s Hospital dell’Università di Stanford anche questa volta da istituti italiani: l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, con il gruppo di Paolo Decuzzi, in collaborazione con l’ospedale San Raffaele di Milano, nel quale io sono in cura.
MicroMesh può essere un’alternativa ai pochi trattamenti farmacologici utilizzati fino ad oggi. È una rete di dimensioni micrometriche fatta di materiali biodegradabili, fibre polimeriche molto flessibili, che vengono intrecciate per formare delle aperture regolari simili alle dimensioni delle cellule tumorali.
La struttura è costituita da due compartimenti, che possono essere caricati di farmaci diversi, da rilasciare nella massa tumorale in modo indipendente, preciso e prolungato. E la rete non facilita soltanto la chemioterapia, ma anche la combinazione di questa con nanomedicina e immunoterapia.
Ora la sfida è sviluppare micromesh integrando diverse tipologie di farmaci e terapie per testarne l’efficacia anche su altri tipi di tumori, con l’obiettivo di arrivare in tempi brevi a una prima fase di sperimentazione clinica, in modo da validarne l’utilizzo in ambito ospedaliero.