Rapimento di Bellocchio rapisce sulla conversione dei bambini
Dopo L’ora di religione, Marco Bellocchio torna a esaminare l’oppio dei popoli.
E ci torna stavolta con una storia non verosimile, ma vera, che così segna un gol alla religione affatto incontrastabile.
Si tratta del caso Edgardo Mortara, bambino ebreo e, quindi di religione ebraica, preso dalla polizia papalina nel 1958 per essere convertito coattamente al cristianesimo, essendo stato amministrato il battesimo di nascosto da una governante, il bambino è irrevocabilmente cattolico e, per le norme dello Stato Pontificio che vietano che un cristiano sia cresciuto da non cristiani. Il 24 giugno Edgardo Mortara viene sequestrato dalla gendarmeria pontificia e portato a Roma, dove soggiorna nel collegio destinato ai figli degli ebrei convertiti.
Bellocchio fa di più: rende questa storia anche attuale, riflettendo accuratamente su temi religiosi affrontati ampiamente nel nostro tempo, come le tante superstizioni che porta con sé la religione (“non mettere il cappello sul letto, porta sfortuna) e soprattutto la questione del crocifisso, che terrorizza il bambino di 6 anni, piagato e insanguinato com’è. Ma la suora del collegio glielo appende al collo rassicurandolo che è un porta fortuna.
Il crocifisso è l’iconografia di Cristo ucciso dagli ebrei e forse sì, per rispetto e tolleranza delle altre religioni, non se ne dovrebbe imporre l’affissione nelle scuole, come ipocriti cattolici quando loro conviene per facile propaganda si sbandierano difensori della Chiesa – non con i bambini palestinesi, loro non sono cattolici!
La paura nel film è una normale fase dello sviluppo emotivo di un bambino di 6 anni, che si manifesta con timori evolutivi come estranei, buio, mostri, separazione dai genitori, figurarsi quando questi non possono rassicurarli nel loro sviluppo perché estranei lo hanno strappato via dai genitori naturali. Edgardo è terrorizzato non soltanto dal crocifisso, che in una visione pure si stacca dalla croce per cominciare a camminargli intorno, ma così come dai bambini con lui seppelliti in camerata, teme la bambina malata di cuore dipinta da Munch, che è un maschietto – come si capisce soltanto quando muore in camerata: Simone.

Quando, dopo anni i genitori riescono a rivedere il figlio rapito, il papà ha un incontro in cui Edgardo sembra affatto plagiato a guisa di automa, al punto da non girarsi nemmeno quando viene riportato via dal genitore. “C’ha paura”, dice il padre alla madre dopo essere riuscito a vederlo a distanza di troppo tempo per un piccolo di 6 anni che dormiva e pregava in mezzo a mamma e papà.
Ma non ha paura Edgardo davanti alla mamma che Bellocchio dipinge inginocchiata a terra disperata come la Madonna di Loreto dipinta da Caravaggio sulla modella Lena, prostituta romana di malinconica languida bellezza. Stavolta il bambino cerca la mamma le corre in braccio con la divisa da collegiale e la conforta sussurrandole all’orecchio che ancora ogni notte recita lo Shemà, ma il parroco non li lascia mai soli e risponde al posto del bambino.

La scena si svolge a metà del film e prosegue in un climax di emozioni. Prima la scena di Edgardo che toglie i chiodi al crocifisso che tanto temeva e quest’altro Figlio che finalmente schiodato prende la porta per lasciare la cappella. Poi la morte di Simone, il suo funerale e la presunzione di onnipotenza di Papa Pio IX che umilia una comunità di ebrei colpevoli di averlo accusato del rapimento di Edgardo Mortara.
E da qui emerge il focus su cui vuole far leva Marco Bellocchio:
“La storia del rapimento del piccolo Edgardo Mortara mi interessa profondamente perché mi permette di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio assoluto, e la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare”.
(Marco Bellocchio)
E subito dopo l’apice dell’indottrinamento del povero bambino che a tavola con tutti i compagni di collegio con a capotavola il papa, è l’unico che non ha paura bensì il coraggio di rispondere alla domanda posta da Pio IX su cosa sia il dogma, che poi è la risposta che pare di dover dare alla sua imposta conversione:
Il dogma è una verità di fede in cui si crede senza fare domande senza fare perché viene direttamente Dio”
Il dogmatismo è sinonimo di potere e magistero clericale, nonché di cieco indottrinamento del povero Edgardo che fino alla fine mostra una fede cattolica inscalfibile: nulla possono la seconda guerra di indipendenza, la proclamazione del Regno d’Italia, che invece tanto potere tolsero allo stato pontificio e a quel papa che si crede al di sopra di ogni legge terrena e si comporta di conseguenza, malgrado forse proprio il suo Dio lo aliena con allucinazioni e crisi comiziali per fargli vedere la Verità.
Non i fatti storici, né tantomeno il rigore imposto e le umiliazioni personali: quando Edgardo ha 16 anni viene ancora umiliato nel senso etimologico dal papa che lo costringe a disegnare con la lingua 3 croci sul suolo (humus). Non la presa di Porta Pia che gli fa incontrare di nuovo il fratello Riccardo che gli propone di tornare finalmente a casa. Il giovane però rifiuta, affermando che la sua vera famiglia è ormai quella della Chiesa cattolica. Vacilla soltanto quando Pio IX muore, nel 1878, e si unisce ai rivoltosi che desiderano gettare il suo feretro nel Tevere, ma se ne pente e scappa via.
Edgardo è così completamente lobotomizzato dalla nuova fede che tenta di fare alla madre in fin di vita quello che hanno fatto a lui da piccolo: cerca di battezzarla; tuttavia lei lo ferma dichiarando di voler morire da ebrea. Scacciato dai fratelli per l’affronto della tentata conversione, Edgardo lascia per sempre la sua famiglia.
Nei titoli di coda viene rivelato il futuro di Edgardo, che diventa sacerdote e compie viaggi da missionario, fino alla sua morte, avvenuta nel 1940.
Il bambino ebreo non c’è più è divenuto un estremista difensore a feroce vendicativo papale svuotato di ebraismo e riempito di cattolicesimo secondo il piacere altrui.
Ma questa così semplice fede interscambiabile in una o nell’altra religione riporta a L’ora di religione a quel bambino, figlio di un ateo convinto, Ernesto, che cerca di stare vicino al figlio, che sembra essersi convertito al cattolicesimo da quando segue l’ora di religione. Anche questo bambino sembra spaventato da un Dio onnipresente cui ci si deve convertire per finire in Paradiso, “la nostra assicurazione sulla vita”, ma a differenza di Edgardo il bambino de L’ora di religione si fa domande, non crede ai dogma.

