Primo maggio: niente festa per i non lavoratori
Quanti sono coloro che non potranno festeggiare il primo maggio? Un milione e 130mila famiglie italiane non ha redditi in entrata. Si tratta di nuclei che, pur comprendendo al loro interno membri che fanno parte del mercato del lavoro, non percepiscono stipendi. Rispondono ogni tre mesi all’Istat quasi 77 mila famiglie, pari a 175 mila individui residenti in Italia – anche se temporaneamente all’estero, e dicono che il 12% della popolazione maschile e il 14% della popolazione femmine per una media del 13% circa è in cerca di occupazione.
Questo lo dice l’Istat, il sistema statistico nazionale. Ma la percezione dello status quo, già delineato drammaticamente secondo questi dati, a me pare ancora più grave. Lascio da parte i numeri e le percentuali e prima mi attacco a un macroscopico falso storico: l’abolizione della servitù della gleba non c’è mai stata, ha solo mutato soggetti e oggetti, per via del cambio dei tempi. I padroni sono sempre gli stessi, si passano la padronanza di padre in figlio, il lavoro è pagato secondo un salario che non permette al salariato di sopravvivere, mentre consente al datore di vivere al di sopra di ogni giustizia e giustezza delle cose. Il problema è anche del non-lavoratore: lavorare significa ricevere uno stipendio. Sempre più giovani, e non solo, ne fanno a meno o ne accettano uno misero e vergognoso, senza stizzirsi, ma accettando qualsiasi cosa passa il convento. Ma davanti a un convento farebbero più soldi, semplicemente stendendo una mano ai passanti. Umiliante? Perché non lo è accettare di lavorare per pochi euro l’ora? Come si fa a non indignarsi davanti a una paga misera, o persino inesistente? E come non si arriva a capire che se uno accetta di lavorare a basso costo o a costo zero, allora per i padroni ci sarà convenienza a far diventare questo modus operandi una vera e propria tipologia contrattuale legittima e farla passare come normale? Senza stipendio non si mangia, e senza mangiare non si vive.
Chi ha ridotto l’Italia in questo Stato? Uno che finalmente (anche se finché non vedo non credo) lavorerà davvero (???) per il Paese. Uno che hanno incredibilmente denominato “cavaliere” – termine che evoca un uomo valoroso – e quindi si è aggiunto del “lavoro” – che più gli si addice, considerando che è il Padrone con la P maiuscola, con un esercito di schiavi, ma soprattutto schiave, ai suoi piedi. Alcuni FEDElissimi, altri latitanti, ieri come oggi, tanti falsi nemici, nella fazione opposta, che mai ne hanno ostacolato né ne ostacoleranno l’avanzata e, quindi, correi del disastro. È colui che per un ventennio, come un suo avo non disconosciuto, ha governato il Bel paese, che tanto bello non è se glielo ha permesso e lo ha continuato a votare.
Ricordo una volta che, mentre ero in coda per votare, un vecchietto indispettito mi rivelava come questo fosse possibile: “Lo votano perché gli piacerebbe essere come lui: in grado di soddisfare una donna superati i 70 anni e padrone di un impero creato dal nulla”. O per dirla alla maniera dei registi Ciprì e Maresco, quelli di Cinico tv per intenderci, di Totò che visse due volte per gli intenditori:“Attraverso i nostri personaggi diciamo agli italiani che sono brutti, sono degli zombie, esseri narcotizzati che vogliono solo calcio, soldi e figa, che votano Berlusconi perché sono come lui.”
Vorrei essere vecchia e abbandonata in un istituto dai miei cari, sola come un cane e senza un Dudù da compagnia, quindi inferocita. E vorrei trovarmi alla Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone, mentre si avvicina la festa dei lavoratori e lui dovrebbe iniziare il suo “lavoro” di assistenza agli anziani ospiti.
Faccia a faccia con chi dovrebbe essere assistito da uno bravo e invece è obbligato ad assistere poveri cristi che a fine vita dovranno essere pure condannati a sentire le sue battute (seppur gli sia stato vietato). Faccia contro una faccia che sembra uscita dal pennello del Ghirlandaio, fatta di pezzi di carne appiccicati tra loro e incorniciati da capelli di cioccolato fuso pettinato all’indietro. Il disperato Dudù in braccio, in cerca di una via di fuga.
E lo accoglierei dicendogli che aveva il dovere morale di concederci la grazia di andarsene in galera, per poi lasciare la parola al Principe Natale Lauria:
Una risposta
[…] La questione è che AlimentarMente non ha un euro, ma è prima sostenitrice della regola che il lavoro vada pagato e correttamente. Quindi? Quindi, allo stesso modo in cui siamo promotori di una cucina raffinatamente grezza, che […]