Italia bocciata in alimentazione sostenibile
Nonostante qualche inciampo, l’Italia mette in tavola cibo di qualità, ma nel mondo dell’alimentazione il nostro Paese incorre in tante pecche: inquinamento, caporalato e abbandono della dieta mediterranea.
Dal Rapporto Asvis del 2017 (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) emerge che l’Italia non è in una condizione di sviluppo sostenibile come definita dall’Agenda 2030 adottata il 25 settembre del 2015 dai 193 Paesi dell’ONU. La strategia Nazionale per lo sviluppo sostenibile, ancora troppo generica e da dettagliare in termini di obiettivi e azioni concrete.
In particolare, incespichiamo sui diritti del lavoro che vengono ignorati, sull’evasione fiscale, sulla dieta mediterranea –patrimonio immateriale Unesco dell’umanità – accantonata. La dieta macrobiotica fatta di cereali, legumi, pesce, verdure e frutta d’altronde non è quella mediterranea volta all’integrale? Il bilancio del secondo dei Sustainable Development Goals , ossia porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile, è lontano.
Entro il 2030, bisognerebbe raddoppiare la produttività agricola e il reddito dei produttori di alimenti su piccola scala, in particolare le donne, le popolazioni indigene, le famiglie di agricoltori, pastori e pescatori, anche attraverso l’accesso sicuro e giusto alla terra, alla conoscenza, ai servizi finanziari. E nello stesso tempo occorrerebbe “applicare pratiche agricole che aiutino a conservare gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, alle condizioni meteorologiche estreme, alla siccità, alle inondazioni e agli altri disastri, e che migliorino progressivamente il terreno e la qualità del suolo”. Mal’agricoltura del Belpaese presenta forti discrepanze di sviluppo con una produttività a favore delle grandi imprese, soprattutto del Nord.
Poi c’è l’abbandono della dieta mediterranea riscontrato dallo studio del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) Mediterranean Adequacy Index: da cui si ricava il grado di aderenza di un regime alimentare alla dieta mediterranea, cioè dal tipo di alimentazione sano che ha un basso impatto ambientale e sanitario. Si legge nel rapporto Asvis: “Un confronto tra il triennio 1990-1992 e quello 2009 -2011 evidenzia un peggioramento della situazione in Italia, a testimonianza di un’evidente e negativa omologazione dei regimi alimentari, agevolata da un più facile accesso a cibi trasformati, zuccheri e grassi raffinati, e degli stili di consumo improntati a un aumento dei pasti fuori casa e all’utilizzazione di cibi pre-confezionati. Ma stavolta il Sud Italia si difende, come si legge nello studio: “Il MAI (Mediterranean Adequacy Index) si ottiene dividendo le importazioni di gruppi alimentari tipiche di una sana dieta mediterranea di riferimento, espressa in g/die, dalle importazioni di gruppi alimentari non caratteristici di una dieta mediterranea sana. In questo articolo, il mai è stato computato basato sulle diete di 23 gruppi della popolazione dall’Italia, dalla Grecia, da USA, dal Costa Rica, dal Cile, dalla Spagna e dalla Germania. Alti valori MAI sono stati registrati tra uomini di classe operaia provenienti dall‘Italia meridionale e uomini di studio di sette paesi (SCS) delle isole greche e il più basso tra gli USA uomini e un gruppo di controllo di donne tedesche; sono stati registrati valori sorprendentemente bassi tra gli uomini e le donne di Madrid e i partecipanti provenienti da paesi latinoamericani in lingua spagnola”.