“Bonalumi 1958-2013” a Palazzo Reale di Milano
Mentre in piazza Duomo a Milano, nella mattinata del 16 luglio 2018, i sindacati manifestano per le morti sul lavoro, nell’adiacente Palazzo Reale, inaugura la mostra “Bonalumi 1958-2013”, in programma dal 16 luglio fino al 30 settembre 2018. Il comune di Milano e l’archivio Bonalumi dedicano la mostra a Luca Lovati che ha perso la vita lunedì 9 luglio, cadendo da una scala (seconda causa di morte bianca, spiegano da piazza Duomo), durante l’allestimento dell’antologica del suo maestro e amico Agostino Bonalumi, di cui dagli anni Settanta era assistente taciturno e gentile, secondo i ricordi emersi durante la commemorazione nel giorno dell’inaugurazione della mostra.
Il primo lavoretto che ho fatto dopo l’Università è stato uno stage – ovviamente non retribuito (sia mai!) – in una galleria d’arte contemporanea del circuito via Ventura- via Massimiano a Milano. Ero assistente di direzione e addetta stampa. Mi annoiavo a morte ed ero sempre molto arrabbiata perché trovo che la somministrazione di lavoro vero e proprio in formulazioni non chiare e che palesamente sfruttano i giovani siano la nuova forma di servitù della gleba, ma peggiore, in quanto ci hanno illuso che questa sia stata abolita. Io in quella galleria non ho imparato un bel niente se non ad avere a che fare con l’arroganza del mondo del lavoro. Ricordo che dovevo fare un ago aspirato per identificare la natura di un gruppo di linfonodi sotto l’ascella destra. Tutta colpa di una toxoplasmosi asintomatica e, di conseguenza, non curata. La destra è proprio il mio lato sfortunato: è nell’emisfero cerebrale destro che mi si è sviluppato il tumore e dal giorno in cui me l’hanno trovato ho fitte dolorosissime al fianco destro, dove c’è il fegato, che però tutti gli esami diagnostici condotti, mi dicono essere in buono stato di salute. Maledetta destra! Ma torniamo al lavoro dal gallerista. Io ho fatto l’ago aspirato e lui era molto adirato perché non potevo aprire il salone mentre lui era in Svizzera, quindi con un dolore atroce sotto l’ascella, ho dovuto prendere l’autobus per portare le chiavi della galleria a sua moglie. Oggi gliele avrei cacciate in un occhio, ma era la mia prima occupazione lavorativa nell’ambito in cui aspiravo immettermi e non immaginavo ancora quanto si dovesse lottare per i propri diritti. Che poi in sei mesi di stage non è mai passato nessuno là dentro, se non qualche mio amico venuto a trovare me per farmi compagnia. Fino a che per una manifestazione artistica, tutte le gallerie del circuito organizzarono una propria mostra, con mega inaugurazioni tutte nella stessa sera. Non ricordo affatto il nome della manifestazione: la rimozione di un tumore frontale destro può comportare disagi sul lato sinistro, come la perdita di memoria. L’artista di cui invece ricordo il nome era un tedesco di Essen gigantesco in altezza e in larghezza soprattutto a mio cospetto, rispetto a lui davvero uno scricciolo. Beveva e mangiava, mangiava e beveva. Ogni tanto lavorava: smaltando di nero ready-made. La puzza chimica dello smalto mi tormentava. Un giorno mi ha detto che lui doveva uscire. Probabilmente a mangiare e bere. Mi ha ordinato di preparare l’ultima opera per la mostra indicandomi una lunghissima tela di gomma, nera ovviamente, e altra puzza. Gli avevo chiesto se avesse delle indicazioni su come dovevo realizzarla e mi aveva risposto male. La tela di gomma era inchiodata al muro e per le mie dimensioni inarrivabile. Glielo faccio notare, mi dà una scala tremolante e se ne va per ore, mentre io ragiono su quello che posso realizzare. Penso di ispirarmi a Pete Mondrian e costruisco sulla tela riquadri ortogonali grigi da applicare sulla gomma, ma la scala trema e io non mi fido a salirci mentre sono sola. Alla fine chiedo allo scultore che ha l’atelier di fronte alla galleria se può tenermi la scala. Artista e gallerista non espressero soddisfazione per il mio lavoro da artista. Arriva il giorno dell’inaugurazione i due sono sempre più insopportabili e già si fanno i conti su quanto avrebbero chiesto per quello che doveva essere il capolavoro dell’esposizione. Mi permetto di far notare che l’opera mi pare un po’ scontata e vista e rivista. Perfidamente porto anche un catalogo dove la loro opera c’è identica, ma colorata di bianco. Me ne dicono di tutti i colori “Cosa vuoi capirne tu?”. Ma medito vendetta e la ottengo quando la prima opera su cui chiedono informazioni è quella che ho fatto io. Ci godo proprio. Sulla loro finestra nera non un commento. Venderanno soltanto la mia opera, ma ovviamente nemmeno me lo dicono, lo scopro poi quando il cliente viene a ritirarla. Io li odio. Finisco lo stage, mi chiede di replicare e ce lo mando. Dall’esperienza unico bagaglio portato a casa: gli artisti contemporanei autografano poche opere, la maggior parte vengono realizzate dagli assistenti della galleria sottopagati se non maltrattati. Non è il caso di Agostino Bonalumi e Luca Lovati. L’artista di Vimercate, riteneva l’assistente il suo migliore amico, come affermacommosso e commovente Fabrizio, figlio di Bonalumi e presidente dell’Archivio intitolato al padre. Ma questi erano signori e non è il mio caso! C’è tutta la riconoscenza per Lovati e il suo lavoro di artista che opera nel nome di colui che detiene l’idea dell’opera e in alcuni casi la esegue pure, Poi ne è il conservatore in quanto, l’arte contemporanea soffre di un grosso guaio: la difficoltà di conservazione. Perché non bisogna lavare via i fumi delle candele in chiesa, togliere le vernici sovrapposte nel tempo, o combattere il decadimento del colore. La conservazione dell’arte contemporanea deve trovare tecniche completamente nuove per contrastare, per esempio, il marcire delle Uova firmate da Piero Manzoni con la sua impronta, per non parlare della sua Merda d’artista! Non c’è un’opera del cremonese che si può conservare secondo le tradizionali tecniche. Perché quanto sono sporchi di polvere gli Achrome “pelosi”, conservati al Museo del Novecento, altro che monocromo bianco: con il nero della polvere accumulata come la mettiamo? Problemi più simili alle opere del Bonalumi potrebbero averli i Tagli di Lucio Fontana. Entrambi, infatti, constato che tutto è stato fatto in arte, giungono all’idea di distruggerne i principi fondanti, lacerando la tela e annullando il chiaro scuro per preferire il monocromo steso piatto. Anche la bidimensionalità dell’opera su tela è contrastata. Fontana lo fa con lo strappo che porta lo sguardo aldilà della superficie. Bonalumi ed Enrico Castellani con estroflessioni che curvano e piegano la tela per invadere lo spazio. È un peccato che questa mostra, la migliore – a mio parere – di Palazzo Reale nel 2018 e tutti questi monocromi, siano stati macchiati dalla morte bianca di Lovati.
La mostra a Palazzo Reale – a ingresso gratuito per tutti – è visitabile nelle giornate di lunedì dalle ore 14.30 alle 19.30; martedì, mercoledì e domenica dalle 9.30 alle 19.30; giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30 – e si completa nelle stesse date con il focus Agostino Bonalumi. Spazio, ambiente, progetto allestito nell’attiguo Museo del Novecento.
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