Stanley Kubrick: psicopatologia di vite contemporanee

Settimana scorsa ho rivisto alcuni dei principali capolavori di Stanley Kubrick e, vedendoli in sequenza ravvicinata, mi sono resa conto che sono collegati da un denominatore comune: l’alienazione dell’uomo contemporaneo. D’altronde, nonostante il regista americano abbia viaggiato con l’immaginazione e la sua regia nel nuovo millennio, grazie a 2001 Odissea nello spazio, la vita del regista, la sua attività e tutti i personaggi dei suoi film rientrano interamente all’interno del Novecento, il secolo della psicologia e della psicanalisi. Pensando agli alienati di Kubrick, il pensiero va subito al custode d’albergo completamente folle di Shining, interpretato in modo memorabile da Jack Nicholson. Ossessivo compulsivo con il suo mattino con la bocca piena d’oro. Così pazzo da far fuori tutta la famiglia. Altro straordinario interprete dell’alienazione è Vincent D’Onofrio, alias Palla di lardo protagonista della prima parte di Full Metal Jacket. E non è un pazzoide Alex di Arancia meccanica? Una vera e propria minaccia della società, delinquente, stupratore, violento. Nella seconda parte del film, definita dal protagonista “lacrimogena” assistiamo a un totale stravolgimento della realtà. Le categorie di giudizio consuete sono ribaltate ed è così che il capo dei Drughi ritenga si debba piangere la punizione in galera a lui inferta per furti, brutali pestaggi, stupri e omicidi. E in questa realtà ribaltata è facile che Alex diventi un infervorato cattolico che vuole a tutti i costi liberarsi dal male e due dei suoi più violenti e psicopatici drughi svestano la tenuta bianca con nera conchiglia coprifallo per indossare le divise da poliziotti. Affezionatissimo è cambiato anche e soprattutto dopo essere stato sottoposto al metodo Ludovico, una lobotomia che manda a nausea qualsiasi atto di violenza. Affezionatissimo è cambiato, non sappiamo se in meglio o in peggio, ma il mondo fuori la galera è tale e quale e così in tutti gli ambienti violati prima dei due anni in prigione, residenti compresi, tuttavia le vittime di un tempo ora sono i carnefici e il carnefice inerte sottomesso. Ma – per citare Alda MeriniLa lobotomia è il tocco finale di un grande parrucchiere” e Alex si dice guarito quando finalmente (visto?anche io ho cambiato il metro di giudizio)torna cattivo, dopo aver subito sevizie d’ogni sorta da chi aveva seviziato. Torna cattivo quando si mette a capo di una banda di delinquenti, stavolta politici, di conseguenza legalmente accettati, e fare il male non incorrerà più in ostacoli.
E così avviene per Palla di lardo, anche lui evidentemente squilibrato perché un debole troppo debole alle prese con l’arroganza di un sergente altrettanto pazzoide e con la follia della guerra con cui però ha la sanità mentale di non entrare in contatto. Perché la sua follia lo ha avvicinato a uno stato di veggenza che lo ha allertato contro la follia della guerra. “Chi è prigioniero diventa potenzialmente libero”, afferma Alda Merini. La follia della guerra è ben raccontata anche in Spartaco, dove una moglie appena puerpera e un neonato devono assistere alla visione del marito e padre crocifisso. E, nel film lo schiavo ribelle è soltanto legato a dei pali, e non inchiodato ai pali come da tradizione e iconografia cattolica, ma Tepes l’impalatore, meglio noto come Dracula, ci chiarisce che la crocefissione avveniva per impalazione: una tecnica disumana che infilzava il palo nel corpo del torturato, facendolo passare da orefizio anale a quello orale, e, se non venivano lesi organi vitali, il supplizio poteva protrarsi per molti giorni, prima della morte. Si vede in una sequenza di un flashback di Dracula di Bram Stoker e in illustrazioni medievali.
In Full maetal jacket, il delirio della guerra occupa tutta la seconda parte del film.

E in questa follia generale, anche fotografia e colonna sonora sono alterate, nella follia. Kubrick nasce fotografo e predilige la ripresa frontale, dove tutto è rigorosamente inquadrato geometricamente, come fa la prospettiva centrale. Tuttavia quando la follia prende il sopravvento, l’ordine lascia il posto a inquadrature di sbilenco, oblique. Esemplare in tal senso è la scena finale con Palla di lardo, dove la telecamera inquadra sempre in perfetta prospettiva centrale l’ordine che Jocker verifica in camerata, durante l’ultima notte al campo d’addestramento. Ma da quando entra nel bagno dove sta il commilitone, tutto è disposto in obliquo, come la mente del suicida. Nulla è più regolare in fotografia, se non Jocker che prova a farlo ragionare. Ma la guerra non ragiona. “Che c’è dentro quella zucca marcia che non funziona mai?”, gli grida il sergente, altro pazzo. E nella scena finale di Full metal jacket, Kubrick fa ricorso anche alla distorsione della musica per alienare la realtà, quando l’esercito malato canta in coro Mickey Mouse, idolo dei  bambini. E, alla fine, quando questo Girotondo alla De andrè si spegne, Mick Jagger canta in Pain it black: “Forse svanirò e non dovrò affrontare la realtà/Non è così facile farsi notare quando tutto il tuo mondo è nero”. Oppure in Arancia meccanica, dove Kubrick distorce le grandi opere classiche con le versioni elettroniche di Wendy Carlos (Walter prima degli anni Sessanta), per le scene di “su e giù” violento che fanno diventare elettronica la Nona di Ludovico Van. Chiudo di nuovo con un altro verso di Alda Merini: “Anche la follia merita i suoi applausi“.

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