La Traviata di Martone ricorda la necessità di riaprire i teatri e il mondo dello spettacolo

Se le precauzioni prese per contrastare la trasmissione del Covid avevano fatto a mio parere fallire il Rigoletto dell’Opera di Roma, la Traviata. che nella scrittura le viola tutte, non può evidentemente tenerne conto, quindi, sul palcoscenico si vedono grandi concentrazioni di cantanti festaioli e goderecci tutti concentrati tra loro e le distanze sociali non vengono mai rispettate: le tavolate sono gigantesche e talmente goderecce che anche la prima verdiana a Venezia fu detta opera scabrosa. E non c’è un posto a sedere vuoto ma tutti sono occupati da copiosi gruppi evidentemente non familiari, così come i tavoli da gioco affollati di soldi perduti e di ludopatici vinti e vincitori. Scene di sesso promiscuo con traviate, appunto non rassicurano certo sulle condizioni igieniche che hanno luogo sul palco. Concentrazioni talmente esagerate, che qualcuno, la mascherina la indossa: su tutti il direttore d’orchestra, ma anche la Traviata Violetta indossa per pochi minuti una mascherina frangiata affatto protettiva, per lei che malata di tisi tossisce in continuazione; e così altre lussuriose festeggianti il carnevale (sarà quella sulla bocca la maschera?). La vita reale e non quella pandemica è sulla scena e al centro della telecamera di Mario Martone. L’ottimo regista può prendere le distanze dal pubblico montando un film sulla storia d’amore di Violetta e Alfredo, perché i teatri devono rimanere ancora chiusi, ma il cinema può essere trasmesso in televisione, e così svincolarsi dalla norma anticovid che più danneggia non soltanto il mondo dello spettacolo e dei melomani, ma della nostra società che di cultura ha tanto bisogno. Credo che sia il governo Conte che quello Draghi  abbiano sottovalutato ampiamente la messa a rischio del mondo della cultura che nei vari decreti ministeriali, che spesso si sono affatto dimenticati di questo mondo.
E credo che la messa in scena degli spettacoli e delle feste dell’opera da parte di Martone fossero proprio un promemoria per tutti, non soltanto le autorità, di quanto ci stiamo perdendo: lo spettacolo e il teatro su cui riflette attraverso un’altra arte duramente messa alla prova dalla pandemia: il cinema. E questa riflessione metalinguistica la rivela spudoratamente, smascherando la matriosca di arti quando Violetta e Giorgio, il padre di Alfredo, cantano l’aria “Piangi, O Misera, Piangi!” e attorno all’uomo cadono tutti i fondali pittorici, l’ultimo tirato giù dallo stesso baritono, lasciando Violetta sola sul letto matrimoniale senza sposo, come da richiesta del padre di lui che vuole proteggere l’amore dell’altra figlia, infischiandosene affatto di quello di Alfredo e della Traviata. Caduti tutti i teleri, rimane il palco con i suoi meccanismi scenici in bella mostra non più mossi perché gli addetti alla cultura sono rimasti tutti a casa. A eccezione dei cantanti e degli attori che si muovono sul palco secondo le coreografie di Michela Lucenti e quando la coppia è ricostituita anche la telecamera danza compiendo una piroetta intorno ai due mai più amanti, malgrado ancora aspiri a un futuro insieme impossibile.
Malgrado il mio colpevole ritardo nel recensire l’opera diretta da Martone e il direttore musicale Daniele Gatti, La traviata (Teatro dell’Opera di Roma) è ancora visibile su Raiplay.

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