Eutanasia: l’Accabadora di Enrico Pau
Nella giornata del 15 febbraio 2022, la corte costituzionale si è pronunciata contro l’ammissibilità del referendum della legge sull’aiuto alla morte volontaria, sottoscritto da 1.240.000 persone.
Settimana scorsa sono stata alle prese con il follow-up annuale e nei reparti oncologici vedo sempre così tanta sofferenza insostenibile e disperazione che ho pensato e indagato molto sulla legittimità di ricevere una bella morte. E per stare serena, come al solito, ho rivisto tanti film che parlano di malattie diventate desiderio di morte, sofferenza ed eutanasia.
L’Accabadora di Enrico Pau parla silenziosamente di eutanasia. Argomento per me sacro e, quindi, di cui non avrei voluto parlare, finché non ho letto che il Papa si è scagliato contro l’eutanasia a 5 giorni dall’udienza della Corte costituzionale sul referendum e nel giorno della discussione della legge sull’aiuto alla morte volontaria, sostenendo che “non è umano spingere a morire”. Speravo che tale esposizione accendesse un dibattito che invece va sotto i riflettori soltanto quando si verificano morti assistite che violano la costituzione.
Mi sono costretta a rivedere L’Accabadora del regista cagliaritano, film che avevo già visto nel 2017 nell’unico cinema ignoto di Milano che lo dava soltanto per una proiezione, sia mai che un tema tanto importante venga trattato ampiamente quanto meriterebbe e soprattutto da voci laiche, quasi che la «bella morte» non sia questione che noi miserabili mortali possiamo cogliere.
Oltretutto, dopo la visione anestetica di È stata la mano di Dio, avevo bisogno di emozionarmi sinceramente e ho cercato la mia fonte emozionale nel cinema e ricercato questo film che mi aveva davvero scossa e per di più in accordo con il momento legislativo.
Il film non è tratto dall’omonimo romanzo di Michela Murgia, ma stessa è la figura ritratta, ossia colei che è l’Accabadora, colei che dispensa la buona morte nell’arcaico mondo sardo.
L’accabadora di Pau è Annette, iniziata al ruolo dalla madre quando lei è ancora bambina, ad asciugare il sudore dai corpi dei morenti per mano della madre, che la perseguiteranno come fantasmi, dopo le loro morti.
Annette, trasportata dal vento giunge a Cagliari in cerca della nipote Tecla, fuggita da un paese vicino dopo la morte della madre “donata” dalla sorella; ora la ragazza si prostituisce in una casa chiusa, da cui Annette prova in ogni modo a portarla via, ma soltanto la guerra riuscirà ad allontanarla dalla casa bombardata e caduta sulla ragazza, che ne rimane schiacciata. Cagliari, infatti, è sotto i bombardamenti.
Il regista offre un racconto asciutto su una figura archetipale, guardandolo dalla prospettiva del passato, riuscendo così ad affrontare il tema delicatissimo dell’eutanasia assumendo una posizione neutrale e distanziata che non valorizza né condanna il suicidio assistito. Annette, infatti, si ritrova ad accudire la bella nipote che ormai giace come un corpo morto nel letto dell’ospedale, ma l’Accabadora che deve essere per nascita, non riesce a soffocare colei da cui è stata mandata per salvarla, non per finirla. E così ne diventerà angelo custode. Tuttavia, continua a svolgere con altri moribondi il suo ruolo innato. Il macabro compito si ripete sempre con un lirismo metafisico. Annette a ogni omicidio assistito è inquadrata sulla soglia delle camere buie dove giacciono i sofferenti, lei che è confine tra la vita e la morte. Una volta entrata, gira tutte le icone e i simboli religiosi, per non farsi vedere soffocare i malati.
Questa è la cronaca di un tema che non si deve raccontare. Se non per dire la propria quando il tema è caldo e le televisioni ci riprendono: l’eutanasia.