Riflessioni su 25 aprile e 1° maggio: rivoluzione, rivoluzione
Ho un chiodo fisso dal quale non riesco affatto a distrarmi da quando ho letto che il sindaco della mia città Beppe Sala ha contestato al presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo di chiarire le sue dichiarazioni sull’Ucraina, considerate da lui inadeguate. Da un lato, un democristiano condannato in primo grado a sei mesi di reclusione per falso materiale ed ideologico per la retrodatazione di due verbali relativi alla gara d’appalto sulla Piastra, l’opera portante dell’Esposizione universale del 2015, e soltanto dopo salvatosi grazie alla prescrizione del reato da parte della Corte d’Appello.
D’altro canto,il presidente dell’Anpi-Associazione nazionale partigiani, cui secondo l’ardito sindaco sono necessarie le sue lezioncine, affinché chiarisca alcune affermazioni del presidente dell’Anpi soprattutto a proposito del massacro di Bucha e di un’ipotetica presenza di bandiere Nato in corteo.
Cos’ha detto Pagliarulo? “Oggi rilanciamo la nostra proposta di dialogo e di unità. Sappiamo bene che la guerra tra i tanti disastri divide. Noi vogliamo contrastare questa deriva, pur nelle opinioni diverse, perché sono convinto che in ultima analisi l’obiettivo comune è quello della pace”, e ha aggiunto “Da ciò l’urgenza di un rafforzamento dell’unità di tutte le forze di pace del nostro Paese e del dialogo fra tutte le forze antifasciste per abbassare la tensione e ricercare la via del negoziato. La diversità di opinioni su singoli punti non deve impedire questo dialogo e la ricerca dell’unità a cominciare dalle più grandi forze democratiche presenti nel governo”. Poi Pagliarulo ha spiegato a Left che sono andati a cercare qualche articolo che aveva scritto nel 2014 e nel 2015 per dimostrare che è un seguace di Putin, dove il giornalista – già Pagliarulo, caro Sala è giornalista, informava del cambio di regime avvenuto in Ucraina a cavallo fra il 2013 e il 2014 ed all’avvio della guerra civile fra il Donbass autonomista, e le armate ucraine che lo hanno attaccato militarmente, come Settore destro e Svoboda, la creazione di un vero e proprio battaglione combattente, il battaglione Azov, fondato e diretto da Andrij Biletsky, che affermò che la missione dell’Ucraina è quella di “guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i subumani, i sottouomini, capeggiati dai semiti”. Fin dai tempi del cambio di regime di Maidan erano avvenute cose sconvolgenti: violenze spesso omicide da parte di formazioni paramilitari e politiche esplicitamente ispirate al nazismo”.
Insomma, ha fatto bene il suo lavoro nel chiarire nel 2015 quello che accadeva in Ucraina e che oggi non si deve dire perché altrimenti si è filoputiniani.
Purtroppo il pensiero unico che è stato imposto con i novax prima ha buttato nello stesso calderone i no-greenpass prima e ora quelli che vogliono dimenticare la storia, pur di non ammettere che la Nato santa non lo è.
E a Left spiega al povero Sala e a chi non accetta un pensiero diverso: “Io non sono antifascista a giorni alterni. Davanti all’offensiva paranazista di quegli anni pensavo e continuo a pensare che fosse giusto contestare la spirale di violenza innescata da un oscuro cambio di regime e sostenuta da forze esplicitamente neonaziste. Essere antifascista non vuol dire affatto sostenere Putin. Tantomeno oggi dopo un’invasione criminale che sta mettendo a repentaglio la pace nel pianeta. Si dirà: ma il precedente governo ucraino prima di Maidan, quello di Viktor Yanukovych, era corrotto. Credo che sia verissimo. Ma anche il successivo governo di Petro Poroshenko, quello del rinnovamento dopo Maidan, era corrotto. Quando nelle elezioni ucraine dell’aprile 2019 Zelenskiy vinse contro Poroshenko, mi sembrò francamente un fatto positivo. Pensai che forse si sarebbero finalmente realizzati gli accordi di Minsk in merito al Donbass e che ritornasse la pace. Non è avvenuto”.
Questo è stato il fatto scatenante il mio pensiero fisso che anch’io dico no alla guerra, così come a ogni violenza, figurarsi che non riesco neanche ad ammazzare le zanzare quando me le vedo addosso, ma le scaccio, ma sono sempre più fermamente convinta che ci vuole una rivoluzione, come quelle che hanno veramente sovvertito lo status quo, che a me personalmente fa schifo. Siamo in una situazione di stallo dalla fine della seconda guerra mondiale che, per quanto sconvolgente, ci ha rigettati in una situazione di stallo insopportabile di “sempre le stesse facce”. I cui crocifissori sono stati prima i democristiani – i più longevi ce li siamo sobbarcati sino a pochi anni fa, anzi ancora le radici della democrazia cristiana appestano il governo – penso al povero ragionier Fantozzi alle prese con le elezioni e le frasi fatte della politica ancora in voga.
Per mezzo secolo abbiamo avuto la Democrazia Cristiana fino a che, nel 1993, l’organo incaricato di rigenerare il partito duramente colpito dagli scandali, dalle inchieste della magistratura e da un crollo dei consensi, che appariva inarrestabile, “decide di dar vita al nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana e popolare, destinato ad aprire la terza fase della presenza dei cattolici democratici nella storia d’Italia”. E la trasformazione ci fu: il nome della Democrazia Cristiana venne cambiato in Partito Popolare Italiano. Solo un voto contrario. Si riformò proprio come fanno quelli della cosiddetta Sinistra da anni: cambiando il nome, così tante volte che la memoria non può ricostruire così tanti cambiamenti e, proprio per questo, non sono mai cambiati i candidati della cosiddetta Sinistra. Ci ha provato a rottamarla un piccolo uomo, dall’ego smisurato Matteo Renzi, che alla fine della sua battaglia, è finito con il far fuori ses tesso, mostrando a tutti la sua abilità politica. Però è riuscito anche ad affondare nell’oblio il partito che si era preso con un sereno golpe.
E la Destra? Basti ricordare che il suo leader, che non vuole mollare il timone per alcun motivo al mondo. Silvio Berlusconi ha 85 anni e persino la stessa faccia di quando si è candidato per la prima volta. Non va meglio a cercare nella Destra più giovane la cui leader Giorgia Meloni ha sì 45 anni, ma è deputata dal 1998, ossia quasi un quarto di secolo, anche lei rimanendo sempre nella Destra più estrema, che però ha mutato tanti nomi nel corso degli anni. “Onorevole eccellenza cavaliere senatore nobildonna eminenza monsignore … Pci psi Dc dc Pci psi pli pri Dc dc dc dc Cazzaniga”, cantava bene Rino Gaetano, l’immobilità di persone non riguarda soltanto la politica, anche il sistema sociale è fermo. I nomi che il cantante elenca nella sua Nuntereggae più sono tuttora onnipresenti, esclusi quelli che per età anagrafica non possono essere più tra noi. Che sconforto pensare che questa canzone è datata 1978. Ed è questo il punto: nulla potrà mai cambiare fino a che ci saranno sempre le stesse identiche persone nei luoghi di potere, della informazione e della socialità. Rimarremo sempre fermi in stazione, ma il problema è che anche quelli che hanno provato a muoversi – mi riferisco al Movimento (appunto) 5 stelle – nell’istante in cui hanno appoggiato le chiappe sulle poltrone troppo comode del potere, hanno optato per risollevare dall’oblio la Sinistra e la Destra, hanno deciso di essere troppo migliori perché l’Italia possa relegarli a una sola legislatura e vuol dire che presto saranno i nuovi Nuntereggae più.
Cosa fare, allora? Io non vedo altra soluzione rispetto a una liberazione che ci sollevi tutti dalla tv di Fantozzi, addio a tutta la monnezza che ci gira dentro. Sturarsi le orecchie dagli stessi soliti nomi.
Una rivoluzione come quella francese capace di buttar giù l’ancién regime, senza abbracciare il Terrore – ho subito precisato che non sopporto la violenza – non ammazzo neanche le zanzare, ma le scaccio. Ecco, dovremmo scacciare l’ancién regime soltanto armati di una solida presa di coscienza contro il nuovo ancién regime. Quanta paura fa ai vecchi politici l’astensione? Usiamo quest’arma. E il mio sacrosanto diritto di voto? Ci rinuncio è una delle poche armi che abbiamo.
E nel primo maggio ho pensato che a scuola si arriva a un certo punto che ci inventano l’abolizione della servitù della gleba. Dove? Quando? Io non me ne sono accorta, anzi sono sempre più convinta che per abbattere lo status quo, che coincide da sempre con lo status quo ante, è necessaria non certo una guerra mondiale – come quella che stanno scatenando i putiniani così come i Beppe Sala, ma una rivoluzione mondiale, una sollevazione di tutti i popoli della Terra. e forse qualcosa cambierà non per non cambiare niente.
Vinicio Capossela e Jack London sono con me, ora mi resta soltanto da convincere tutti i popoli della terra!