Il docufilm su Munch tra Eros e Thanatos si viaggia nella psiche del pittore
Ero sicura che non sarebbe venuto nessuno con me a vedere Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro, diretto da Michele Mally che firma la sceneggiatura con Arianna Marelli, per gettare nuova luce su Edvard Munch, in occasione dei 160 anni dalla nascita. Ma senza esagerare: il film è al cinema per soli 3 giorni (dal 7 al 9 novembre). Invece, non mi hanno detto di no, anzi mi hanno suggerito di prenotare viste le date limitate di proiezione. Ottima idea, penso. Invece nella sala del cinema eravamo in 6, comprese noi due. Parliamo del duro colpo sferrato in piena pancia al cinema dalla pandemia, ma anche le piattaforme streaming hanno contribuito ad abbattere il piacere di andare a vedere sul grande schermo le ultime uscite. Siamo usciti dal mondo del Secolo Breve, dove il cinema ha portato un cambiamento epocale nel mondo delle arti. E invece il Novecento lo rivedo proprio nel docufilm sul pittore norvegese, conosciuto da tutti per l’Urlo, ma affatto sconosciuto per tutta la sua restante copiosa produzione che lascia senza bocca, per renderci soltanto occhi riempiti di colore. D’altronde anche l’uomo che urla a me non è mai parso il fulcro del suo capolavoro più noto, a me attirava per il cielo infuocato e il fiordo annacquato, un paesaggio evidentemente non realistico, ma ritratto di una psiche probabilmente proprio di quell’uomo urlante. Chi fosse quest’uomo urlante ce lo racconta proprio Edvard Munch, descrivendoci la genesi del quadro sul suo diario le cui pagine ci leggono nel film:
“Una sera camminavo lungo un viottolo in collina nei pressi di Kristiania – con due compagni. Era il periodo in cui la vita aveva ridotto a brandelli la mia anima. Il sole calava – si era immerso fiammeggiando sotto l’orizzonte. Sembrava una spada infuocata di sangue che tagliava la volta celeste. Il cielo era di sangue – sezionato in strisce di fuoco – le pareti rocciose infondevano un blu profondo al fiordo – scolorandolo in azzurro freddo, giallo e rosso – Esplodeva il rosso sanguinante – lungo il sentiero e il corrimano – mentre i miei amici assumevano un pallore luminescente – ho avvertito un grande urlo ho udito, realmente, un grande urlo – i colori della natura – mandavano in pezzi le sue linee – le linee e i colori risuonavano vibrando – queste oscillazioni della vita non solo costringevano i miei occhi a oscillare ma imprimevano altrettante oscillazioni alle orecchie – perché io realmente ho udito quell’urlo – e poi ho dipinto il quadro L’urlo”.
Nel film viene precisato che Munch stava attraversando il ponte che lo avrebbe portato dalla sorella Laura internata in manicomio bombardato dalle urla dei pazienti e da quelle degli animali del vicino mattatoio.
E quella sul grande schermo è una viaggio profondo nella psiche del pittore di Kristania, così come si chiamava Oslo ai tempi in cui Munch viveva. Dall’infanzia trascorsa senza madre, deceduta per tubercolosi, stessa sorte della sorella Sofie che si ammalò giovanissima della stessa malattia ritratta nel primo quadro che il fratello dipinse: La bambina malata che ritrae la sorella maggiore Sofie, accudita da un’altra donna che cela il volto nella buia disperazione, deperendo anche lei al fianco di Sofie. È il primo soggetto di molti dei quadri di Edvard che doveva certo essere segnato nel profondo dalla perdita di queste due prime donne della sua vita. Pure l’altra sorella Laura è perduta perché le muore la sanità mentale. Ma Edvard cercherà per tutta la vita donne che potranno sostituire quelle perdute e, una volta ritrovate, non perde occasione di ritrarle nei suoi dipinti, sempre come figure simboliche Eros e Thanatos, dalla prima con la quale perse la verginità al suo grande amore Milly Thaulow, presente due volte ne La danza, la stessa Tulla che con un colpo di pistola gli fece saltare la falange del dito sinistro, mutilazione che è impotenza. La violinista inglese Eva Mudocci (1883–1953), che fu amante di Munch, prestò il volto alla Madonna di Munch, in una delle tante versioni incorniciata da spermatozoi e da un feto. Eros e Thanatos.
Oltre a tutte le figure muliebri, attraverso le quali Munch esplora il lato oscuro del comportamento sessuale umano, il film ci mostra quella che è una caratteristica stringente dei paesi nordici, ossia quella di dipingere attraverso l’arte, in ogni sua declinazione la psiche dell’artista. C’è una tensione verso il mostruoso e il funereo e la morte sempre viva persino nelle fiabe e nella serenità del Rinascimento, basti paragonare il Cristo morto del Mantegna con quello di Hans Holbein il Giovane, o si pensi alle madonne dei Maestri tedeschi, rispetto a quelle dolcissime di Raffaello e Bellini. Questa tendenza macabra è persino presente nelle fiabe come si racconta all’inizio del film di Mally. Si pensi alle asprezze di Albrecht Dürer o di Johann Heinrich Fussli.
Antichrist del regista danese Lars von Trier in tal senso è un modello: questo film non è comprensibile se non lo si pensa come un film che riprende con le telecamere e riproduce sullo schermo la psiche della coppia protagonista tesa tra Amore e Morte.