Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini non nasce regista: Accattone fu bocciato da Federico Fellini, eppure – come per gli attori che sceglie dalla strada – si improvvisa tale, sfruttando le conoscenze pittoriche che acquisì, in particolare, in un corso di storia dell’arte su Masolino e Masaccio tenuto all’Università di Bologna da Roberto Longhi.
E le citazioni artistiche di Pasolini sono innumerevoli in tutti i suoi film, al punto che nell’antecedente La ricotta, egli tributa il suo maestro con omaggi viventi agli eccentrici Pontormo e Rosso Fiorentino che proprio Longhi ribatezzò eccentrici e nei confronti dei quali invitava a non essere rigidi e frettolosi nel valutare l’arte fiorentina del secondo Cinquecento, poiché la città era «più di quanto non si creda, una fucina di tendenze».
C’è poi la testimonianza di Bernardo Bertolucci che il poeta di Corsara si battè per avere come come aiuto regista per il suo primo film, Accattone:”Il suo riferimento non è il cinema, che conosceva poco, ma – lo dichiarò tante volte – i Primitivi senesi e le pale d’altare. Inchiodava la macchina da presa davanti alle facce, ai corpi, alle baracche, ai cani randagi, nella luce di un sole che a me sembrava malato e a lui ricordava i fondi d’oro; ogni quadratura era costruita frontalmente e finiva per diventare un piccolo tabernacolo della gloria sotto proletaria”. Insomma, ne uscivano fuori inquadrature ieratiche quasi mistiche.
Rispetto a La ricotta, Pasolini rinuncia a mettere in scena veri e propri tableau vivant, tuttavia restano plateali le citazioni artistiche de Il vangelo secondo Matteo: la Madonna nella sua prima apparizione sotto ampio arco, anche nell’atteggiamento stralunato, con gli occhi chiusi rimanda alla Madonna del parto di Piero della Francesca, mentre quello della Madonna anziana e dell’angelo boccoli scuri paiono dipinti dal Mantegna.
Piero della Francesca, con il suo ciclo della Vera croce nella Basilica di San Francesco ad Arezzo rimane pittore di riferimento anche per i costumi; in particolare, sono tali e quali i turbanti a paralume capovolto dei farisei e l’armatura dei soldati, che appiccica al torace tutto muscoli una maglietta della salute che manco i tamarri in palestra indosserebbero e sotto gonnellino a pieghe.
Per Cristo adulto, Pasolini sceglie la via della verosimiglianza e rinuncia al Cristo figaccione, così come farà nel 1977 nel suo Gesù di Nazareth Franco Zeffirelli, che pare prenda i suoi attori dalla passerella. Mentre Pasolini sceglie Enrique Irazoqui, uno studente spagnolo con tratti più coerenti con il vero volto del Nazareno, che dovevano essere mediorientali, non da modello nordico, occhi azzurri e capellone. E, per l’origine di Enrique Irazoqui, il riferimento pittorico sembra ai Cristo di El Greco.
Ma oltre alle citazioni più plateali, Pasolini trasporta dalla storia dell’arte figure iconografiche, mai per mero sfoggio della sua vasta conoscenza, ma sempre a spiegare con metafore meravigliose: all’inizio le immagini ammutolite dalla colonna sonora e dalle parole del povero e vecchio San Giuseppe che si trova davanti la moglie bambina incinta dopo la sua assenza, vengono finalmente spiegate e sonorizzate dalla voce dell’angelo boccoli scuri e dall’hortus conclusus, ossia il giardino recintato, simbolo della verginità di Maria, che l’angelo ribadisce a Giuseppe essere salva. La Madonna giovane è Margherita Caruso, minorenne di Crotone vista e scelta all’uscita dalla messa da Pasolini, che era solito scegliere i suoi attori dalla strada: non c’è divismo nei suoi film, se non quando nel cast sono presenti Silvana Mangano e Maria Callas, che comunque devono essere interpretate come le sue Madonne ispiratrici.
Questa scelta tipicamente neorealista ben si allinea alla tradizione del Vangelo scritto da Matteo e riscritto da Pasolini senza alcuna intromissione: Pasolini si attiene fedelmente al testo di Matteo, da cui si differenzia soltanto in poche occasioni, per esempio per errori degli interpreti, o per rendere più attuale il testo. Fedeltà che garantì al film premi anche dal mondo cattolico (ad esempio il Premio dell’Office Chatholique International du Cinema, che lo proiettò a Nôtre Dame
E la parola dell’evangelista mai è così sonora come quella fatta pronunciare da Gesù da un non credente:
Io non credo che Gesù sia figlio di Dio, perché non sono un credente, almeno nella coscienza. Penso invece che la figura di Cristo dovrebbe avere la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo
Pier Paolo Pasolini
Tutti i miracoli e le prediche sono letterali, così come le immagini, tante sì citazioni o allusioni all’iconografia delle arti, ma Pasolini mai cade e soprattutto scade nel caricaturale e nel macchiettistico. Basta rivedere la tentazione di Satana nel deserto. Dove Satana è un uomo tra i più comuni, e per dimostrarcelo senza lasciarci alcun dubbio, la telecamera scende giù per ben due volte ed esita sino ai piedi con calzari scalcagnati, altro che zoccoli caprini. Oppure i re Magi per i quali abbandona le iconografie folcloristiche tradizionali, ma semplicemente copre loro la testa con un telo a strisce orizzontali azzurre e bianche, proprio come quelle “corone” che ci tramandano le raffigurazioni dei faraoni, come Tutankhamon. E il regista poeta rinuncia anche ad eccessi di estetismi, sia nella figura della Madonna, dell’arcangelo e di Gesù.
Pasolini in questo film si rivela anche raffinato ascoltatore, per l’uso delle musiche mai scelte a caso. All’inizio ci troviamo a cospetto di un film muto: non una parola né tanto meno musica accompagnano la Madonna del Parto che Pasolini inquadra in un portone circolare a mo’ di Piero della Francesca. Cristo ritratto come quelli di El Greco.
Pasolini anticipa i momenti che prefigurano la passione di Cristo con il sottofondo musicale della Passione secondo Matteo di Bach. Lo fa quando si vede per la prima volta Erode e quando i neogenitori lo fuggono con la Fuga in Egitto.
La strage degli innocenti commentata dal tema musicale composto dal compositore Sergej Prokof’ev nel 1938 per il film Aleksandr Nevskij del regista Sergej Ėjzenštejn.
Quando al battesimo di Giovanni Battista, vediamo per la prima volta il volto di Cristo adulto, il sottofondo musicale è la musica funebre massonica di Mozart (K 477), che tornerà nelle scene più solenni del film: la scelta degli apostoli, la crocifissione e la morte, laddove la vocazione intravvede nel suo cammino la prospettiva della morte.
Fino alla Passione Cristo è seguito dalla camera ieratica di Pasolini, e dalle madri. Ma stavolta Maria, afflitta dalla vecchiaia e dalla perdita – già quando ancora era in vita del figlio – non può più esser interpretata dalla bella diciassettenne di Crotone, che verrà sostituita dall’amatissima madre naturale di Pier Paolo: Susanna Pasolini, che davvero poteva mettersi nei panni di un povero Cristo osannato da chi lo capiva nella sua meravigliosa interiorità e osteggiato da chi non poteva proprio capirlo e accettarlo al punto da mandarlo al calvario.
Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini.
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
La bellezza del film avrà eredi illustri, o non li avrà: Martin Scorsese, rilasciò un’intervista a La Civiltà Cattolica, il 24 dicembre 2016, sostenendo: «Il miglior film su Cristo, per me, è Il Vangelo secondo Matteo, di Pasolini. Quando ero giovane, volevo fare una versione contemporanea della storia di Cristo ambientata nelle case popolari e per le strade del centro di New York. Ma quando ho visto il film di Pasolini, ho capito che quel film era già stato fatto». Mel Gibson invece non desiste e sceglie Matera per Passion, facendo grande rumore, perché nessuno si era ricordato o accorto che Il Vangelo secondo Matteo era già stato girato nel magnifico capoluogo della Basilicata e in tanti luoghi dell’Italia Meridionale dove ancora si respira un senso arcaico.
Il più illustre discendente è il videoclip de Il povero Cristo di Vinicio Capossella, a mio parere vero e proprio cortometraggio diretto da Daniele Ciprì e interpretato da un ormai anziano Enrique Irazoqui.