‘Bosch e un altro Rinascimento’ a Palazzo Reale di Milano
L’altra sera non ho potuto approfondire il pezzo del docufilm su Munch, come avrei voluto per colpa della limitata programmazione di esso nelle sale, e perché dovevo andare a vedere la mostra Bosch e un altro Rinascimento, promossa dal Comune di Milano-Cultura, Castello Sforzesco e Palazzo Reale, dov’è allestita al piano inferiore fino al 12 marzo 2023. Questa mostra esplora proprio la tesi che chiudeva il pezzo su Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro.
Bosch, secondo i curatori, rappresenta l’emblema di un Rinascimento “alternativo”, lontano dal Rinascimento governato dal mito della classicità, è la prova dell’esistenza di una pluralità di Rinascimenti, con centri artistici diffusi.
Questo Rinascimento alternativo ha uno spiccato gusto per il macabro, il mostruoso e il grottesco, proprio come avevo detto essere quello caratterizzante i paesi nordici. E nella mostra di Palazzo Reale si possono ammirare dei capolavori assoluti non soltanto di Bosch, ma anche di altri importanti opere di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli, in un confronto che ha l’intento di spiegare al visitatore quanto l’altro Rinascimento non soltanto italiano e non solo boschiano negli anni coevi o immediatamente-successivi influenzerà grandi artisti come Bramantino, Tiziano, Raffaello, Gerolamo Savoldo, Dosso Dossi, El Greco e molti altri. Firenze, Venezia e Roma ci hanno abituati a un Rinascimento all’insegna del classicismo che ha oscurato quello meno noto che hanno reso altrettanto grande gli eccentrici del Longhi, i ferraresi e tanti altri artisti che hanno girato le spalle al classicismo. In tal senso, la mostra Corpo e anima al Castello Sforzesco aveva già aperto gli occhi agli spettatori verso questo Rinascimento insolito. E non a caso tra i curatori della mostra boschiana c’è proprio il direttore del castello milanese, Claudio Salsi, insieme con Fernando Checa Cremades, professore di Storia dell’Arte all’Università complutense di Madrid e già direttore del Museo del Prado, da cui provengono diverse delle opere in mostra. Insomma, Jheronimus Bosch è il pittore che meglio incarna questo Rinascimento poco pacifico, ma visionario e rivolto più audacemente al nostro inconscio scandagliato con dovizia di particolari.
La prima sala espone soltanto alcuni dei capolavori del pittore fiammingo.
Ci incendia l’animo il settore centrale del Trittico con le Tentazioni di sant’Antonio, databile 1500 circa, conservato a Lisbona. Anche al Museo del Prado è conservata una tavola di ugual soggetto perché Sant’Antonio costituiva evidentemente un forte richiamo per Bosch e per gli artisti della sua epoca, offrendo la possibilità di rappresentare visioni immaginifiche di cui fu vittima l’Eremita ma anche evidenzia sin dalla prima opera la fantasia delle invenzioni boschiane che realizzano una composizione straboccante genialità visionaria. Basti zoomare il gruppo di figure in basso al pannello centrale. Dal buco di una mela bacata fuoriescono una suora già in decomposizione accucciata dentro una bilancia, un bucranio che suona l’arpa cavalcioni su un varano vestito di tutto punto con persino stivaletti con tacchetti e una cerva, presente anche nell’Antichrist di Lars von Trier, citato nel pezzo su Munch. Il cervo è uno dei nemici del serpente e per questo, nella mitologia nordica, rappresenta Cristo in contrapposizione a Satana. E spesso nelle fiabe il cervo o la cerva attirano il cacciatore in situazioni particolari costringendoli a seguire, mentre questi sono appunto nel bosco. Al centro un pesce con dentini aguzzi ed elmetto fa da imbarcazione per due scimmie, pure loro ben vestite per insinuarci il dubbio se siano uomini o bestie e viceversa. Il pesce sta per schiantarsi contro un uomo gondola anche lui dentato. Bosch dà il meglio proprio nel gruppo di mostri-umani ai piedi della torre: su un somaro che al posto delle natiche ha il boccaglio di un’anfora, incede un uomo metà cavaliere metà uccello con scudo rosa occhiuto che sarà modello per Joan Mirò. Su un altro destriero sta ritto un cavaliere di pietra e dietro c’è l‘Uomo di latta del Mago di Oz. Gli esseri più mostruosi sono una Madonna con bambino in fuga in Egitto. La Vergine è una livida pannocchia legnosa che tiene in braccio il Bambino fasciato stretto, neonato eppure già presagio del Cristo morto, a cavallo di una pantegana gigante cui accanto cammina un’arpia che sulla testa porta un vok di spaghetti cinesi con tanto di bacchette.
Ogni capolavoro in mostra va ammirato nei suoi più gustosi dettagli non soltanto di Bosch, ma anche di altri visionari, come Benvenuto Tisi detto il Garofalo che fa percorrere il suo Paesaggio con corteo magico da un fantastico dromedario ibrido con le zampe posteriori prese a un grifone e una faccia da culo – sono tantissimi quelli che ci mostrano con irriverenza il brulichio di soggetti che infestano le quasi 100 opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e volumi antichi, inclusi una trentina di oggetti rari e preziosi provenienti da wunderkammern – che reifica la metafora con un faccione assetato con oblunghe mammelle cascanti; o le atmosfere infernali e le pratiche negromanti delle Scene di magia di Gillis Congnet.
D’altronde anche il Sommo Poeta era sceso nel vernacolo nella Divina Commedia:
Ed elli avea del cul fatto trombetta”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inf. C. XXI)
Nella wunderkammern torna a Palazzo Reale il
Vertumno di Arcimboldo, già protagonista anni fa del maggiore centro espositivo milanese. Clicca qui per vedere la gallery delle opere in mostra.