Tutto sulla carne coltivata
Dov’è autorizzata
Decisione storica per i vegani: negli Usa la carne coltivata è autorizzata. Il 21 giugno 2023, la Food and Drug Administration ha preso una decisione che è destinata a cambiare la storia della produzione di proteine animali, approvando definitivamente, in contemporanea, la vendita per consumo umano della carne coltivata di pollo di due aziende. Si tratta di due delle prime aziende che hanno iniziato a lavorare nel campo: Upside Foods (già Memphis Meat), fondata nel 2015 dall’ingegnere tissutale della Mayo Clinic Uma Valeti, e Good Meat, fondata a San Francisco come ramo di Eat Just da Josh Tetrik e la prima a essere arrivata al traguardo delle autorizzazioni a Singapore, nel 2020.
Invece il governo italiano ha presentato un decreto legge che vieta e sanziona la produzione, vendita, distribuzione e somministrazione di alimenti, bevande e mangimi realizzati in laboratorio partendo da cellule animali. Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (le ho scritte tutte perché mi fa troppo ridere cosa non fanno per darsi un tono!) Francesco Lollobrigida, infatti, ha presentato una legge per vietare la produzione e l’immissione sul mercato della carne coltivata in laboratorio e di altri alimenti sintetici.
Che cos’è la carne coltivata
È un prodotto di laboratorio di carne animale originata dalle cellule staminali. Insomma, si tratta di un prodotto che nasce a partire da cellule animali che vengono prelevate tramite una biopsia e fatte crescere su un terreno, una soluzione, ricco di nutrienti. Dopo la crescita, queste cellule staminali, che non presentano alcuna specializzazione, si differenziano in una cellula di interesse, nel caso specifico in una cellula muscolare. La carne coltivata ha lo stesso sapore e la stessa consistenza di quella tradizionale.
Cosa dicono Fao e Oms della carne coltivata?
Dal punto di vista della sicurezza alimentare, il consumo di carne coltivata non rappresenta un rischio per la salute umana. In Unione Europea la carne coltivata è considerata un novel food e quindi deve sottostare a stretti controlli e normative.
La produzione di carne di origine animale si è evoluta nel corso di migliaia di anni per soddisfare la domanda di fonti proteiche sicure e convenienti.
La produzione alimentare basata sulle cellule, che è il campo della coltivazione di prodotti agricoli animali direttamente dalle colture cellulari, è stata esplorata come una presunta alternativa sostenibile al sistema agricolo convenzionale. Poiché la produzione alimentare commerciale basata su cellule continua ad espandersi, aumenta l’urgenza di affrontare una delle questioni più importanti dei consumatori. Per rispondere a questa preoccupazione, la Fao e l’Oms hanno pubblicato una pubblicazione intitolata “Aspetti di sicurezza alimentare degli alimenti a base cellulare”, che esamina le tecnologie utilizzate per produrre alimenti a base cellulare, identifica i potenziali rischi per la sicurezza alimentare ed esplora i quadri normativi in vari paesi.
Lo studio Food safety aspects of cell-based food (clicca qui per il rapporto completo) ha coinvolto 23 esperti per identificare e analizzare quali rischi per la salute possa comportare il consumo di carne coltivata. Le principali questioni di sicurezza alimentare si sono concentrate sulla contaminazione fisica, i pericoli chimici (compresi additivi, contaminanti e residui), i pericoli biologici, gli allergeni (compresa l’ipersensibilità) e altre preoccupazioni riguardanti l’uso delle tecnologie più recenti o emergenti e dei nuovi sistemi di produzione. Per condurre l’identificazione completa dei pericoli per la sicurezza alimentare con le informazioni e le conoscenze disponibili, il gruppo tecnico ha considerato tutti i potenziali pericoli in modo da sviluppare un elenco esaustivo basato sulle quattro fasi della produzione alimentare realizzata con le cellule: approvvigionamento cellulare, crescita e produzione cellulare, raccolta cellulare, lavorazione e formulazione degli alimenti. Lo studio è giunto alla conclusione che i rischi della carne coltivata sono gli stessi degli alimenti tradizionali.
Va anche detto che è indubbio come, nonostante il report realizzato, sia fondamentale continuare a investire in ricerca e sviluppo per capire se i presunti benefici di una maggiore sostenibilità possano effettivamente essere realizzati, nonché verificare effetti a lungo termine.
L’impatto ambientale della carne coltivata
Il ministro Lollobrigida, a Quarta Repubblica su Rete4, ha sostenuto che secondo lo «studio» di un’«università californiana» la carne coltivata “inquina 25 volte più della carne” prodotta con i metodi tradizionali, come l’allevamento.
Lo stesso studio e il dato delle “25 volte” sono stati rilanciati sui social, tra gli altri, anche dal deputato della Lega Mirco Carloni, presidente della Commissione Agricoltura della Camera, e dal suo compagno di partito Gian Marco Centinaio, ex ministro dell’Agricoltura.
Purtroppo, anche nella materia che dovrebbero amministrare, i politici hanno le idee confuse.
La saggista e divulgatrice scientifica Beatrice Mautino e il giornalista Emanuele Menietti nel podcast del Post “Ci vuole una scienza” (episodio del 19 maggio), raccomandano di non fare confusione con i dati.
Lo «studio» di cui hanno parlato Lollobrigida e altri politici del centrodestra è stato pubblicato il 21 aprile su bioRxiv, un archivio online gratuito dove i ricercatori che si occupano delle scienze della vita, come la biologia, possono pubblicare i loro studi prima che siano stati sottoposti alla cosiddetta per una revisione, ossia la procedura con cui, all’interno della comunità scientifica, una ricerca viene sottoposta al controllo di altri scienziati, che possono fare commenti o segnalare eventuali errori agli autori della ricerca. Dunque, il governo non ha parlato di uno studio verificato e pubblicato su una rivista scientifica, ma per il momento solo su un portale online. Non si tratta neanche di uno studio, ma di una ricerca. Che si intitola Environmental impacts of cultured meat (in italiano “Gli impatti ambientali della carne coltivata”) ed è stata realizzata da cinque ricercatori della University of California, un istituto universitario statunitense. L’obiettivo dei ricercatori è quello di stimare i «potenziali impatti ambientali» della carne coltivata, che a oggi è prodotta solo su bassa scala e con costi molto alti, visto che si tratta di una tecnologia recente (per esempio in Europa non è ancora commercializzabile). Più nel dettaglio lo studio è una “valutazione dell’impatto del ciclo di vita” (in inglese life cycle assessment, Lca) della carne coltivata, ossia cerca di quantificare quali sono le potenziali emissioni di CO2 della carne coltivata in tutte le sue fasi di produzione. I ricercatori si sono perlopiù concentrati sul growth medium (terreno di coltura), ossia il liquido dove si coltivano le cellule da cui poi, dopo una serie di passaggi, si ottiene la carne coltivata. I risultati della ricerca, analizzando vari scenari, indicano che a oggi la carne coltivata produce emissioni tra le quattro e le 25 volte più elevate rispetto a quelle prodotte dalla carne bovina allevata.
Pro e contro della carne coltivata
Se dal punto di vista ambientale, ci sono pareri contrastanti: da un lato c’è chi dice che la carne sintetica porterebbe a un minore impatto sul consumo e inquinamento del suolo, dall’altro c’è chi si preoccupa dello smaltimento del siero animale utilizzato durante il processo produttivo; valutare i pro e contro della carne coltivata, mette in gioco tante altre considerazioni.
Dal punto di vista nutrizionale non sono presenti degli aspetti negativi da considerare. Dal punto di vista della sicurezza alimentare, crescendo in un ambiente controllato, si riduce il rischio di malattie di origine animali e non c’è la necessità di impiegare antibiotici. Oltre a questo, diventa possibile confezionare un alimento in un unico luogo, evitando contaminazioni esterne. Tuttavia come già detto, bisogna aspettare nuovi studi su eventuali effetti a lungo termine.
A livello etico, la produzione di carne sintetica porterebbe essere presa in considerazione da un vegano perché consente sì di evitare la macellazione di animali, tuttavia allo stesso tempo c’è sfruttamento degli animali, poiché è necessario l’utilizzo di siero fetale bovino per la creazione del terreno di coltura, comunque derivante dal settore della produzione di carne. Sebbene siano attualmente in sviluppo alternative che prevedono l’utilizzo di prodotti vegetali.
Gli aspetti negativi riguardano principalmente il piano socio-economico: abolire gli allevamenti intensivi potrebbe comportare una riduzione delle persone attualmente impiegate in questa industria, con la perdita di lavoro per tantissimi addetti che attualmente lavorano in questo settore. Altro aspetto da considerare è il costo per la produzione di questo alimento, che attualmente risulta proibitivo, anche se con gli anni potrebbe diminuire a un livello accettabile e proponibile ai consumatori. Per questo, oltre alla ricerca, risulta fondamentale lo sviluppo di politiche e interventi socio-economici integrati per essere affrontati in modo adeguato. Non dovremmo trascurare anche l’impatto culturale: la sostituzione della carne tradizionale con la carne in vitro porterebbe alla cancellazione di molte tradizioni gastronomiche locali.
Dal canto mio, non sapevo proprio in quale categoria mettere questo approfondimento sulla carne coltivata: voi come la definereste: grezza o raffinata?