Porcile di Pier Paolo Pasolini: disobbedienza e anarchia a 50 anni dalla morte del poeta

È solo al momento della morte che la nostra vita, a quel punto indecifrabile, ambigua, sospesa, acquista un significato.

(Pier Paolo Pasolini, intervista del 1967

Per recensire i film di Pier Paolo Pasolini, e celebrare il 50° anniversario dalla morte, non seguirò un ordine cronologico ma più occasionale. Il 27 ottobre si celebrava anche i 35 anni dalla morte di Ugo Tognazzi, così ho rivisto Porcile, diretto da Pasolini e interpretato anche dall’attore cremonese. Non era uno degli attori ai quali il poeta si rivolgeva per i suoi film, ma Tognazzi era indubbiamente uno dei migliori attori nel panorama internazionale per la sua capacità di passare da parti comiche a drammatiche restando sempre credibile.

Per recensire i film di Pier Paolo Pasolini, e celebrare il 50° anniversario dalla morte, non seguirò un ordine cronologico ma più occasionale. Il 27 ottobre si celebrava anche i 35 anni dalla morte di Ugo Tognazzi, così ho rivisto Porcile, diretto da Pasolini e interpretato anche dall’attore cremonese. Non era uno degli attori ai quali il poeta si rivolgeva per i suoi film, ma Tognazzi era indubbiamente uno dei migliori attori nel panorama internazionale per la sua capacità di passare da parti comiche a drammatiche restando sempre credibile.

“Attore non attore, innamorato delle donne, della vita, della buona tavola. Fece un passo difficile, dal comico al drammatico. Molti ci provano, pochi ci riescono. A lui riuscì. Bello starci insieme, mai un momento di noia. Vero, sincero. Anche Gassman ne era contagiato: gli piaceva, era il contrario di lui: Ugo non sapeva quasi mai la parte. La inventava”.


(Dino Risi)

Porcile risale al 1969, anno successivo ai moti sessantottini. E nella prima lapide si legge:

Interrogata ben bene la nostra coscienza abbiamo stabilito di divorarti a causa della tua disubbidienza

Ala seconda lapide ci introduce al tema della disubbidienza:

Io e te moglie siamo alleati: tu madre-padre, io padre-madre. La tenerezza e la durezza sono intorno a nostro figlio da tutte le parti. La Germania di Bonn, accidenti, non è mica la Germania di Hitler! Si fabbricano lane, formaggi, birre e bottoni (quella dei cannoni è un’industria d’esportazione). È vero: si sa che anche Hitler era un po’ femmina. Ma com’è noto, era una femmina assassina: la nostra tradizione è decisamente migliorata. Dunque? La madre assassina, lei, ebbe figli obbedienti, con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore. Mentre io, io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente né disubbidiente?.

È, dunque, proprio la disubbidienza il leitmotive di un film composto da due episodi che vengono cuciti tra loro proprio con il fil rouje dello spirito di rivolta dei suoi protagonisti interpretati da Pierre Clementi e Jean-Pierre Léaud, che cercano di salvaguardare la sacralità, il primo attraverso un gesto di rivolta estrema, il cannibalismo, il secondo con l’aberrazione della zoofilia. Tuttavia i loro gesti di rivolta non saranno sufficienti poiché entrambi verranno barbaramente uccisi, ma allo stesso tempo saranno graziati.
I due episodi sono cuciti da un fitto montaggio alternato di due momenti storici lontani secoli tra loro (Clementi è precipitato nel Medioevo, mentre Julian sopravvive in piena età capitalistica del secondo dopoguerra), così come lo sono i luoghi: il nero desertico vulcano dell’Etna, che è l’inferno popolato da anime perdute ugoline, e la sontuosa villa della Germania di Bonn candida e così trasparente da sembrare il Paradiso dantesco dove tutto è bianchissimo a eccezione dei volti di fiamma e delle ali d’oro degli angeli, bianchissimo a comunicare ai beati la pace e l’ardore che hanno attinto grazie a Dio.



Gustave Doré, Madonna, illustrazione dalla Divina Commedia.
pubblicata da L. Hachette et Cie, Paris, 1868


Nel riflesso dello specchio d’acqua in cui si riflette, la villa dove due industriali dipinti dal pennello degli espressionisti dell’Entartete Kunst e interpretati dalla grottesca coppia Tognazzi-Marco Ferreri (il padre Klotz dice di sé che in altri tempi il pittore Grosz lo avrebbe dipinto con la faccia da suino).


Entartete kunst, 1937-38 Programma della mostra di arte degenerata Gemalte Wehrsabotage “Sabotaggio pittorico di Otto Dix”.

Osteggiati dal figlio 25enne di una ricchissima stirpe industriale tedesca (chiaramente collusa decenni prima con il nazismo) che, anziché prendere le redini della propria eredità del potere, è uno svagato e inerte ragazzo che non aderisce neppure alle proteste studentesche cui invece partecipa la ragazza che vorrebbe sposarlo, Ida (Anne Wiazemsky) che sì va a Berlino a manifestare ma è pure ben pronta per un matrimonio che le fornisca un ottimo posizionamento sociale, mostrando un ribellismo destinato a essere inglobato nell’obbedienza sociale. Trallalà. Secondo la Ragione, Julian dovrebbe unirsi alla famiglia e divenire obbediente, ma Spinoza elogia il raptus mistico che porta Julian a congiungersi con le bestie fino a morirne. L’Etica va abiurata:

“La Ragione mi è servita a spiegare Dio. Ma una volta spiegato Dio, la Ragione ha esaurito il suo compito, deve negarsi: non deve restare che Dio, nient’altro che Dio”.

PierPaolo Pasolini

Il ruolo della ribellione, scostante in Julian, è invece onnipresente in Clementi, disobbediente asociale, consapevole e anarchico che pare nega affatto la Ragione moderna, lui che sta in tempo e luogo remoti.
In Porcile emerge la sfiducia di Pasolini verso le società costituite e un anarchismo consapevole che non è possibile adattarsi alla realtà dei padri/padroni. Emerge la differenza tra un mondo arcaico in cui il giustiziato esiliato ai margini della società afferma la propria disuguaglianza; e un presente in cui i figli della borghesia o vanno a fare una scampagnata da manifestanti o si lasciano sbranare. Il cannibale Clémenti, punito dalla civilizzazione, afferma la contraddizione Natura/Cultura; il borghese Julian svanisce nel proprio desiderio di morire.
Uguale è invece la necessità di dissenso, di ribellione, degrado e critica alla società borghese cui Pasolini stesso non riesce ad adattarsi, sperando di poter vivere nell’autenticità. Non potrà avvenire anche per lui: il 2 novembre 1975 di domenica sera presso l’idroscalo di Ostia, nei dintorni del cinema Argo, il corpo del poeta regista è stato ritrovato massacrato con un’arma contundente da un numero indefinito di aggressori. Esso è stato anche martoriato dagli assassini, che sono passati su di esso, già tramortito, con la sua macchina.

“Abbiamo un morto all’Idroscalo, interessa?”
C’è il morto. La faccia affondata nella melma. Senza camicia, il cadavere indossa una maglietta sporca di sangue. Segnata dal passaggio di pneumatici. Un massacro. Guardate che è proprio Pasolini

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