Milano, la città dell’acqua affonda sotto il Seveso
Non è certo la città dell’acqua dall’agricoltura rigogliosa e l’operatività industriale la Milano in cui si poteva nuotare mercoledì 12 novembre a seguito dell’esondazione del fiume Seveso. Quella emersa tra il 1155 e il 1157 era uno straordinario piano di ingegneria urbana e militare: il fossato di Milano correva all’incirca intorno all’odierna cerchia dei navigli e raccoglieva le acque dei fiumi Seveso e Nirone. “Non uno stagno putrido, ma l’acqua viva delle fonti popolata di pesci e di gamberi”, scriveva il poeta Bonvesin de la Riva. Con il tempo il sistema di navigazione divenne una funzionale via di trasporto navigabile per alimentare la fabbrica del Duomo, quelle milanesi e collegare la città. L’artificio dell’uomo era riuscito a battere la natura. Anche Leonardo da Vinci contribuì a perfezionare con le chiuse il sistema del fossato. Poi, il 3 marzo 1928 il colpo di genio del comune di Milano: interrare il fossato per scongiurare il “pericolo sociale per l’attrazione che esercita sui deboli e sui vinti di una grande metropoli”. Nemmeno era arrivata l’autorizzazione del ministero dei Lavori pubblici che le opere di copertura iniziarono. Ed è così che stanotte la città dell’acqua è riemersa per dimostrare tutta la pochezza della società contemporanea. Altro che pesci e gamberi, nuotavano intorno a viale Zara orde di uomini a piedi con pantaloni al ginocchio e piedi scalzi, o i più ingegnosi e attrezzati con ghette fatte con sacchi della monnezza. E la navigabilità urbana? Un naviglio di macchine e di puzza.