Keith Haring a palazzo Reale di Milano: tra umanesimo e arte concettuale
Significato e significante sono diventati un’ossessione dopo lo studio in linguistica di Ferdinand de Saussure. Soprattutto nella linguistica artistica, perché prendiamo Piero della Francesca e la sua riduzione dei volumi a geometrie, che proseguirà Paul Cézanne. A me piace pensare a un contenuto in cui viene infusa un’essenza quasi trascendentale e che eleva l’artista a demiurgo. Keith Haring lo fa a palazzo Reale di Milano fino al 18 giugno 2017 con la mostra Keith Haring. About art. I segni che il pittore statunitense riempie sono sagome antropomorfe, per intenderci quella del bagno degli uomini. Dentro quella bucata, tra le prime esposte, c’è John Lennon morto, notizia che aveva turbato molto l’artista statunitense, che la traduce così in arte. In alcune rivive il cuore delle anime brulicanti di Bosch, in quelle con le braccia al cielo l’Uomo vitruviano di Leonardo. Altre gravide fanno da altalena alla sagoma bambino che non è il bambino carponi, pur presente in mostra. Altra icona presente è il cane con il muso a martello; o meglio la lupa. Come ci rivela il parallelismo con la lupa di Roma che allatta i due fratelli. Qui simbolo di maternità. L’arpia, mezza donna mezza rapace, esplode nella stessa sala in una delle poche opere in mostra che hanno titolo: Walking in the rain. Come nel mito è foriera di sventura: attraversa l’azzurro del fondo, bagnato da pioggia nera, il volto muliebre non si riconosce, mentre graffiano la tela gli artigli del rapace. E li senti fare male. L’inquietudine dell’opera trasmette quella di Haring che, al rientro da una giornata uggiosa del 1889, scoprì che per l’aids, che aveva contratto, non c’era soluzione alcuna. La pioggia nera che gocciola sopra alla terrificante creatura richiama il dripping del primo Jackson Pollock, ancora tra figurativo e astratto. C’è chi fa sesso così passionale da rimanere incastrato. Poi orde di omini in bianco e nero o coloratissimi.
Lo stesso sgocciolamento del michelangiolesco non finito Unfinished painting. Perché Haring, come rivela il titolo della prima sezione in mostra è un concettuale umanista. Che guarda alla scultura classica, al medioevo (c’è una pala d’altare modernissima e antichissima), a Michelangelo, Bosch, su su, fino a Pollock, Pablo Picasso, Derain e le loro maschere fino ad Andy Warhol. Oppure a quelle corenti srtistiche che intendono annullare quanto è arrivata a fare l’arte nel corso dei secoli, per tornare ai suoi elementi caratterizzanti, per esempio come fa Haring con i colori primari giallo, verde e blu, sempre a studiarne il segno.