Il caldo torrido mantiene e riporta alla luce tesori di migliaia di anni fa
A maggio, quando non smetteva di piovere, anzi grandinare, tutti si lamentavano. La pioggia è il sottofondo ideale per ascoltare la musica sinfonica, rispondevo io. E la controrisposta non posso scriverla, per educazione. E invocavano l’estate che alla fine è arrivata a giugno torrida. E allora ci si inizia a lamentare perché c’ è troppo caldo. Provate a guardare Studio aperto, lo so: non è facile, ma provate almeno tre notizie – lo so, non è facile, ma provate e contate quante volte ripetono che c’è un caldo mai visto prima. Lo fanno tutte le estati che vien da chiedersi come sia possibile che l’anno precedente hai detto che mai c’era stata un’estate così calda, ma è Studio aperto aspettarsi un approfondimento meteorologico coerente sarebbe chiedere la luna. Non voglio mica la luna. Tuttavia anche tutti coloro che puntavano il dito contro quella guastafeste della pioggia maggiolina, ora lo indirizzano contro il caldo. Eppure proprio il caldo torrido ha i suoi vantaggi: no, non è la musica che fa da sottofondo malinconico agli orrendi tormentoni estivi, ma le poche pitture a colori arrivate a noi dall’antichità che si sono conservate quasi intatte per l’assenza pressoché totale di umidità che il colore “lava” via. Si pensi alle pitture egizie. Incontri tipici nella melting pot via Padova: Sono tornato in Egitto per 2 mesi e c’erano 45 gradi – che vacanze bollenti e rovinate perché il caldo è pesante, è pesante sentire tutti che se ne lamentano. Ma il caldo riporta in vita tesori inestimabili. A Roma all’Aventino, in un’intercapedine della basilica di Sant’Alessio, ai piedi del campanile, è stato ritrovato un affresco perfettamente conservato anche nei colori che ritrae Sant’Alessio chiacchierare con Cristo pellegrino, in quanto indossa la tunica corta e il bastone. L’affresco è datato con tutta probabilità alla metà del XII secolo, risale, dunque, a 900 anni fa. Soltanto poche settimane prima, dopo 2mila anni, è stata riscoperta all’interno della Domus Aurea neroniana la Sala della Sfinge con volta a botte completamente affrescata. Essendo scarsamente illuminata, si decise di decorarla su fondo bianco con eleganti figure suddivise in riquadri bordati di rosso o di giallo oro. Dà nome alla sala la piccola sfinge rossa, che svetta su un piedistallo, che è letteralmente inquadrata mentre una pantera le salta al collo.Poi da una parte il dio Pan, dall’altro un uomo armato di spada, faretra e scudo, che combatte pure lui con una pantera. E poi creature acquatiche stilizzate, ghirlande vegetali e rami con delicate foglie verdi, gialle, rosse, festoni di fiori e frutta. Proprio questo tipo di decorazione – che si ritrova anche nella Domus di Colle Oppio e in altre sale della Domus come il Criptoportico 92 – rende propensi gli esperti ad attribuire la fattura alla cosiddetta Bottega A, operante tra il 65 ed il 68 d. C, ossia 2mila anni fa. Con loro, centauri rampanti e il dio Pan che cammina in equilibrio sulla cornice dell’inquadratura. Dall’altro lato, un uomo armato di spada, faretra e scudo combatte anche lui con una pantera. E poi le cornici conservate in modo ineguagliabile.
Bisogna espatriare in Iraq per conoscere una scoperta ancora più antica di quelle romane. Qui la siccità ha riportato alla luce un palazzo di 3.400 anni fa di un misterioso impero emerso da una riserva nella regione del Kurdistan dell’Iraq dopo l’abbassamento dei livelli d’acqua a causa della siccità. La scoperta delle rovine della riserva della Diga di Mosul, costruita negli anni ’80 sulle sponde del fiume Tigri, ha ispirato uno scavo archeologico naturale che migliorerà la comprensione dell’Impero di Mitanni, uno degli imperi dell’Antico Medio Oriente meno studiato. Il palazzo sarebbe appartenuto a un re assiro e la scoperta è avvenuta per caso, mentre gli archeologi stavano valutando la portata dei danni causati alla tomba del profeta Giona dai militanti jihadisti. Il tempio Nebi Yunus, che contiene ciò che i musulmani e i cristiani ritengono sia la tomba di Giona o “Yunnus” come è conosciuto nel Corano, è stato distrutto dal gruppo terroristico nel luglio 2014.
L’archeologa Layla Salih afferma che il tempio ha condiviso il sito con l’antico palazzo reale e gli scavi precedentemente erano stati voluti, nel 1852, dal governatore ottomano di Mosul, che, insieme al dipartimento iracheno d’antiquariato, ha studiato il sito nel 1950. All’interno di una delle gallerie realizzate dall’Isis, gli archeologi hanno trovato un’iscrizione in marmo del re Esarhaddon, che si pensa risalga all’impero assiro nel 672 a.C.
Secondo il parere degli scienziati, il palazzo reale sarebbe stato ristrutturato e ampliato dal re Esarhaddon dopo esser stato costruito dal padre Sennacherib ed è andato in parte distrutto in un saccheggio nella battaglia di Ninive del 612 a.C.
Il caldo: avete ancora da lamentarvi?!