Mi illumino d’immenso al duomo di Monreale
Chi dice che il Medioevo è fatto di secoli bui, non ha mai visto la cattedrale di Monreale, dove è tutto oro quello che luccica. Ma all’arte “buia” non si rimproveravano i materiali utilizzati, anzi preziosissimi, ma in particolare il mancato uso della prospettiva e di aderenza alla realtà. Certo il Cristo pantocratore che giganteggia nel catino absidale è fuori misura, ma vi immaginate un cristo-formica a creare l’intero universo? No, bisognava che il pantocratore fosse sovradimensionato anche per reggere occhi immensamente guardinghi perché onniscienti. Sotto di lui sta pure la Teotokos, cioè la Madonna seduta con in braccio il bambino, cui la chiesa e l’intera città di Monreale sono dedicate. Accanto alla Teotokos in dimensioni ridotte, angeli e arcangeli che offrono il creato alla Vergine. E c’è anche re Guglielmo II, detto il Buono, goffamente inginocchiato davanti alla Madonna per donarle il modellino del Duomo, abbagliati dall’oro tutto intorno. Si racconta che il buon sovrano fosse stato incaricato dell’erezione dell’edificio dalla Vergine stessa apparsagli in un sogno improvviso in cui egli precipitò sotto le fronde di un carrubo che nascondeva nelle radici il tesoro necessario a erigere tanto splendore. Questa iconografia torna statuaria nell’ingresso laterale (che è poi quello da cui si entra nella cattedrale, perdendo purtroppo il percorso musivo spirituale). La facciata stringe tra le due torri campanarie, una delle quali non è finita un portico barocco e un soffitto a timpano, all’interno ligneo e dipinto d’oro. All’esterno, sotto il portico laterale, una Madonna stavolta non musiva, ma bronzea incedente verso il donatore, allarga accogliente Guglielmo con in mano il modellino della chiesa. In questo gruppo bronzeo nulla ha reminiscenze bizantine, piuttosto guarda all’espressionismo per il disordine della materia plastica. E Guglielmo II è presente anche con il ricco sarcofago insieme con quello di colui che si ritiene il reale finanziatore della costruzione dell’edificio: Guglielmo il Cattivo, avarissimo razziatore delle ricchezze del suo regno. Sicuramente a iniziare l’opera fu Il Buono nel 1174. I sarcofagi reali, come da tradizione bizantina sono in materiali preziosissimi sono uno in marmo bianco, l’altro in porfido rosso, com’era onore degli imperatori. Oltre al catino absidale, le maestranze arabe e veneziane ricoprirono a mosaici le pareti del capocroce e della navata centrale con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, dalla genesi alla fondazione della Chiesa da parte di Pietro. Tutte su sfondo d’oro. Anche le pareti delle navate laterali sono scandite e decorate a mosaico con lesene con trame e pattern musivi in cui ci di perde. Le tessere musive sotto piastrine di vetro che favoriscono il riverbero della luce creata dalla foglia d’oro, disposte – caso unico in Italia – in modo circolare attorno alla testa del Pantocratore che così sembra irradiare immensità, alla faccia dei secoli bui. Semplicemente gli uomini dell’epoca usavano strumenti diversi più materialisti per rendere l’immaterialità ultraterrena. D’altronde un mosaicista contemporaneo, Gustav Klimt, aveva fatto scrivere sul palazzo della Secessione: “A ogni epoca la sua arte, all’arte la sua libertà”.