L’Argimusco: Stonehenge nature in Sicilia
A volte la natura si crea così affascinante e suadente, che di guardarla uno non si stanca, al punto che si sospetta dietro ci sia la mano di qualche entità sovrannaturale maligna o benevola?D’altronde la necessità di creare divinità che spieghino i fenomeni naturali ha dato origine alle divinità di ogni religione. Sull’altopiano dell’Argimusco deve averci messo lo zampino un ultraterreno che si manifesta a noi comuni mortali in forme ora antromorfiche ora zoomorfe. Tutta colpa della pareidolia, quell’associazione di idee che una nuvola- si chiama pareidolia, o nel caso dell’Argimusco le rocce suggestionano nell’immaginazione di chi le guarda. Siamo tra i 1165 e i 1230 metri sul livello del mare, dove l’infernale Sicilia bollente richiede in pieno agosto abbigliamento da sci. L’uomo non ci ha messo mano nei profili dell’altopiano: alcuno scalpello ne ha sfaccettato le rocce, se non pioggia, ghiaccio e vento. Eppure è un perfetto osservatorio astronomico che gli ha valso la nomea di Stonehenge siciliana. L’altopiano è stato sicuramente abitato dai tempi preistorici, malgrado non siano opera degli abitanti queste sculture di pietra, né le segnalazioni astronomiche: in corrispondenza della Rupe dell’Acqua e della Torre, il Sole sorge agli equinozi (marzo e settembre), esattamente in corrispondenza della rocca, cosicché gli antichi potevano servirsi di questa naturale corrispondenza per regolare pratiche agricole e religiose. Il pianoro e la vicina rocca di Novara all’orizzonte costituiscono un calendario astronomico a cielo aperto. Anche l’altra natura rimane allo stato brado, quasi a non addomesticare in alcun modo il territorio: i cavalli galoppano allo stato brado tra felci e arbusti bassi. Le forme naturalmente evocative invece sono frutto di strordinarie suggestioni. Già i primi due roccioni, da molti detti erroneamente menhir (perché non issati dall’uomo, sucitano suggestioni: è il profilo di un uomo, vedi c’è pure l’occhio. È un coniglio. A me pare proprio un indiano con le piume in testa. Invece gli studiosi del luogo li hanno battezzati Virilità e Femminilità per ricordare gli organi sessuali di uomo e donna. Sono stati i professori Gaetano Pantano e Giuseppe Todaro a proporre le prime teorie interpretative. Certo sull’Aquila che pare spiccare il volo più a est, concordano tutti nel vederci il rapace in una notte sovrannaturale dove la luna sta per albeggiare. Durante l’anno, il maestoso uccello sembra osservare, come un girasole, il transito del sole. Sotto l’Aquila stanno una tomba a grotticella e un palmento rupestre: due vasche comunicanti per far fermentare il mosto, per bere forte già in tempi preistorici, alta com’è la gradazione dei vini locali. Nella parte centrale dell’altopiano c’è la cosiddetta area sacra, che grava intorno alla Grande Rupe che scava osservata da sud il profilo di un uomo detto il Siculo o il Teschio. Eppure è di formazione del tutto naturale, come dimostrano i tafoni, cavità alveolari scavati dall’erosione eolica. Affiancato nella Grande rupe dal cosiddetto Alchimista. Ma è ancora più impressionante e ieratico L’orante che chiude un maestoso massiccio con la testa china e le mani giunte in preghiera sul seno. Questa donna in preghiera è alta 25 metri, accarezzati dalla luce degli astri, sembra un nuovo tributo all’Angelus di Millet da parte di Salvador Dalì, che, tuttavia qui non ha messo piede. Naso all’orizzonte o all’insù si può godere la luna albeggiare e/o la migliore visualizzazione della Via Lattea. E non è questa una natura ultraterrena?