Io #ristoacasa
Con l’obbligo a #restareacasa, andare a mangiare fuori diventa impossibile e io non sono una che ama molto mangiare al ristorante, impossibilitata dal regime alimentare che seguo mi risulta molto difficile ordinare un piatto senza troppi senza. E, temo di essere l’incubo di ogni cameriere, quindi mangiavo fuori poco anche prima della dieta, quando ritenevo che consumare fuori tutti i pasti quando si lavora è davvero troppo costoso e insano, così mi sono sempre portata la schiscetta da casa e, troppo spesso, se non avevo il tempo per prepararla prima, riempivo una sacca di stoffa di frutta – errore grave perché la frutta non va mangiata a volontà, contenendo zuccheri, ma io ho sempre pensato che la frutta facesse solo bene e così me ne abbuffavo in pausa pranzo e a merenda, commettendo un grave errore. Con la frutta qualche carota e finocchi da mangiare crudi, questi sì a volontà, ma sono meno pratici per il take away dal momento che io sono abituata a lavare la verdura accuratamente con bicarbonato, o aceto di mele e certo non nel lavandino del bagno dell’ufficio e non la sera prima per evitare perda tutti i nutrienti e la freschezza. Tuttavia, il piacere di mangiare fuori è innegabile, indice di socialità, di esperienze culinarie nuove e soprattutto di zero sbattimenti a casa. E oggi che siamo obbligati a #restareacasa costituisce anche uno svago. C’è poi quello strano meccanismo mentale per cui si è tentati a violare in ogni modo un divieto imposto.
E poi ormai è super diffuso il delivery food. Dici delivery food e il pensiero va subito alla pizza d’asporto in America. Anche qui in Italia è arrivata con la catena Domino’s Pizza. Al di là dei loro driver in motorino, corrono ovunque tutti quei lavoratori sottopagati che portano cibo in portavivande gravanti su schiene inarcate su biciclette e sottoposte a ogni pericolo climatico e stradale per pochi euro di paga. Insomma, la consegna a domicilio non rimanda a immagini gratificanti. Una sera ho attaccato bottone con uno di loro mentre aspettavo la pizza: non riesco nemmeno a riscrivere le condizioni in cui mi ha raccontato si trovano, perché sono una vergogna per il genere umano. Ero in una micropizzeria con pochi posti a sedere accanto a casa mia, dov’è un continuo via vai di Glovo, Deliveroo, UberEats e altri. Io continuavo a lamentare lo sfruttamento della classe lavorativa di questi ragazzi – tutti eccetto uno – stranieri , tutti a macinare kilometri tra il traffico milanese e le sue buche (sì ci sono anche a Milano, non è esclusiva di Virginia Raggi, anche l’ipersmart Milano di Beppe Sala non è percorsa da cinghiali, ma è solcata da voragini, dove puoi sprofondare a piedi e lasciare pezzi dell’automobile). Era molto tardi quella sera, eppure arrivava un ragazzo delle consegne dopo l’altro. E all’ora di pranzo davanti sono ancora di più. Tutti sfruttati perché ci fanno studiare che la schiavitù della gleba è stata abolita, ma non è affatto vero, ha soltanto cambiato modalità e sistemi. D’altronde pratico, veloce e sempre più spesso comprato al supermercato, nell’ultimo anno il “food to go” ha visto crescere le vendite del +12,3% nella GDO, arrivando a superare 1,3 miliardi di euro. Un risultato che si deve anche all’offerta in continua crescita e segmentazione, capace di cogliere diverse occasioni d’uso e di soddisfare ogni esigenza alimentare dei consumatori, con proposte veg, etniche, salutiste o sfiziose. I servizi di delivery negli ultimi anni si sono sofisticati. Alla fonte e nella distribuzione. Alla fonte, sono sorti healthy food-delivery. Il primo che avevo puntato Rose &Mery purtroppo temo sia fallito,invece sta avendo successo NutriBees, che consegna settimanalmente in tutta Italia piatti pronti gourmet che aiutano a mangiare sano lasciandoti più tempo per fare le cose che ti piacciono. Oltretutto i menu possono essere personalizzati in base alle proprie necessità grazie alla compilazione del menu da parte di Anna Villarini, biologa e specialista in Scienze dell’Alimentazione, lavora come ricercatrice presso il dipartimento di Medicina preventiva e predittiva all’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Ed è stato proprio Nutrebees a lanciare l’iniziativa #ioristoacasa, con cui si legge sulla loro pagina Facebook: “Continuiamo a consegnare in tutta Italia i nostri piatti pronti, buoni e fatti solo con gli ingredienti migliori👩🏻🍳
In più per ogni ordine doniamo parte del ricavato all’ospedale Sacco di Milano💚
Tu resta a casa, alla spesa ci pensiamo noi e ti regaliamo una dolce sorpresa dentro ogni pacco🏠”.
E dopo la prima settimana di #ioristoacasa, hanno già fatto la prima donazione all’ospedale milanese, grazie agli ordini ricevuti.
E allora #rEIstiamoacasa!