Apre Meet, punto di connessione fisico e digitale
Riapre il 31 ottobre in nuova veste arancione il fu Spazio Oberdan, come Meet, perché punto di incontro fisico e virtuale. Meet è il primo centro a Milano e in Europa nato per mettersi in connessione con il mondo. Concepito come spazio virtuale e fisico dentro e fuori. Meet è una vera e propria content factory. È un laboratorio creativo aperto a tutti coloro che, in Italia e nel mondo, cerchino una piattaforma capace di progettare e produrre format digital-first e farli “rimbalzare” ovunque. Anche la sede di Meet è un corpo ibrido, capace di vivere in forma fisica e allo stesso modo in forma virtuale. Hanno già iniziato con una serie di appuntamenti. I lavori sono partiti sette anni fa e hanno preso il volo con il supporto di Fondazione Cariplo.
L’edificio di inizio Novecento in via Vittorio Veneto 2 ora brilla in arancione, secondo il progetto di Claudio Ratti, che modifica completamente i 1500 metri quadrati distribuiti su tre piani, tutti visitabili, a differenza dello Spazio Oberdan, sempre ed esclusivamente visibile a pian terreno, poco mutato, se non per il bar, disegnato da Italo Rota, che ora occupa l’originario ingresso affacciato su piazza Oberdan. Il vecchio spazio è segnato sul soffitto da una saetta al neon firmata Artemide, rotta soltanto all’altezza dell’ingresso su via Veneto per scrivere sulla volta a botte decorata Meet. A destra, rassicuro subito i cinefili che potranno ancora godere della programmazione d’essai nel cinema che si trova dov’era, ma completamente ristrutturato secondo le nuove norme. La Cineteca si occuperà ancora della programmazione, in autonomia, ma anche in sinergia con Meet. E la cavea, chiamata teatrum, è ora tutta cablata e gode di un nuovo impianto acustico, tarato per il cinema. A causa dell’emergenza Covid la programmazione ha già subito cambiamenti, ma è consultabile qui.
Dove c’era la biglietteria è il nuovo punto ristoro, disegnato da Italo Rota e dal food designer Martin Guizze. Tornando all’ingresso di via Vittorio Veneto, si inizia salire per scale alla Escher che però non si arrampicano né sprofondano nel nulla, ma manifestano una delle tre caratteristiche su cui si fonda il lungimirante e interessante progetto di ristrutturazione a firma Claudio Ratti: immersione, connettività e versatillità. Versatilità immediatamente individuabile nei corrimano delle scale che zigzagano tra i piani disegnano una dimensione poliprospettica: non c’è una sola prospettiva, ma i punti di vista si moltiplicano arancioni. E all’ultimo gradino lo spazio si rivela abitabile ed è connettività. Ma anche immersione perché sul piano si apre la sala immersiva, che immette nell‘istallazione Reinassance dreams di Refik Anadol, primo lavoro in Italia del media artist e regista turco, che vive e lavora a Los Angeles, dove i sogni scorrono fluidi sulle pareti di questa sala enorme dove i sogni sono celebri rappresentazioni rinascimentali che esplodono e implodono in pixel sferici. Sono un milione di immagini che restituisce solo una porzione della vertiginosa produzione artistica italiana risalente al periodo tra tra il 1300 e il 1600. Tutte in public domain, ossia riproducibili e riutilizzabili, che Refik processa attraverso algoritmi GAN in grado di auto-apprendere e generare una forma multidimensionale dinamica. Renaissance Dreams sarà aperta gratuitamente al pubblico fino al 10 gennaio 2021. Ingresso solo su prenotazione. All’ultimo piano, dopo aver passato uno studio di produzione, ci sono gli uffici di Meet.
Domani 31 ottobre 2020, l’inaugurazione al pubblico.