Riders delivery: pedaliamo noi per garantire i loro diritti
Una sera di libertà, quest’estate, ho mangiato in una micropizzeria vicino a casa mia. Con pochissimi posti a sedere, tre li ho occupati, poi era un via vai di Glovo, Delivery, Foodora, Uber Eats e non ricordo più i nomi. Io continuavo a lamentare lo sfruttamento della classe lavorativa di questi ragazzi – tutti eccetto uno – stranieri, tutti a macinare chilometri tra il traffico milanese, il suo smog e le sue buche (sì ci sono anche a Milano, non è esclusiva di Virginia Raggi, anche l’iperfunzionante Milano di Beppe Sala non è percorsa da cinghiali, ma è solcata da voragini, dove puoi sprofondare a piedi e lasciare pezzi dell’automobile). Era molto tardi quella sera, eppure arrivava un ragazzo delle consegne dopo l’altro. E all’ora di pranzo davanti sono ancora di più. Tutti sfruttati perché ci fanno studiare che la schiavitù della gleba è stata abolita, ma non è affatto vero, ha soltanto cambiato modalità e sistemi. D’altronde pratico, veloce e sempre più spesso usato da chi preferisce passare la pausa pranzo in ufficio piuttosto che spendere fortune per pasti di scarso gusto e ricchi di prezzo. E questi ragazzi vanno, vengono, ripartono, schiena curva sotto i nostri pasti per pochi euro.
In quella sera di libertà, ho parlato a lungo con un rider e mi ha raccontato imbarazzato una situazione lavorativa schiavista. Oltre alla paga e alla mancanza di alcuna assicurazione, per loro tutto il giorno esposti ai pericoli della strada, mi aveva raccontato che conveniva per aumentare il profitto, certo non la fatica, assumere incarichi distanti l’uno dall’altro, contro ogni logica. Ma più pedali, più di pagano, mi ripeteva ancora senza fiato, A metà ottobre, Uber eats viene commissariata per caporalato: si legge nell’avviso di chiusura indagini, che i riders erano “pagati a cottimo 3 euro a consegna“, “derubati” delle mance e “puniti“. Stralciata la posizione di Uber Italy, indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa. Secondo l’accusa i riders venivano sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione sia per quanto riguarda la retribuzione sia il trattamento di lavoro. Cosa di cui i dipendenti di Uber si rendevano conto, stando alle intercettazioni: “Davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori”. Così diceva al telefono con un altro dipendente di Uber Italy, Gloria Bresciani, manager della filiale italiana del colosso americano indagata per caporalato nell’inchiesta milanese che punta a far luce sul sistema di sfruttamento dei rider nel servizio ‘Uber eats’.
Condizioni insostenibili nel 2020, così, venerdì scorso, i perfettamente consapevoli riders fanno il primo stop. E la situazione dei ciclisti del take away si è aggravata con lo scoppio della nuova emergenza Covid, quando “è progressivamente aumentato a causa della richiesta determinata dai restringimenti alla libertà di circolazione”, tanto che “potrebbe aver provocato anche dei reclutamenti a valanga e non controllati”. E cresce anche il pericolo di ammalarsi.
Di nuovo in sciopero il fine settimana del 9 novembre, a causa del nuovo contratto firmato tra le società del delivery – su tutte Glovo, Deliveroo, Just Eat e Ubereats – e un sindacato, che hanno siglato un accordo che, secondo i fattorini, peggiorerebbe ulteriormente le loro già precarie condizioni di lavoro trasformando le paghe in miseria, con cifre di 1.30 euro a delivery.
Così, nel primo giorno di lockdown per Milano, con i ristoranti sono chiusi al pubblico, i riders hanno deciso di rivolgersi direttamente ai milanesi pregandoli di non fare ordini:
Oggi inizia il lockdown. Milano è zona rossa. Noi rider ci troviamo di fronte ad una doppia emergenza. Siamo tra i più esposti all’emergenza sanitaria in quanto siamo stati riconosciuti dal Governo come lavoratori di un servizio essenziale, ma siamo anche in piena mobilitazione perché le piattaforme ci hanno abbassato le paghe mentre ci tolgono equo compenso, tutele e diritti.
Fino a domenica quindi non consegneremo. La protesta dei rider continua.
Sciopero in tutta la città!
Chiediamo a tutti i clienti di non ordinare, ai cittadini di non usare il servizio di consegne a domicilio e fino a lunedì di non consegnare per supportare la nostra protesta.
Invitiamo tutti i rider delle altre città e i clienti a fare lo stesso.
Io #nonordino.