Ri-scatti. Fino a farmi scomparire al Pac
Su Alimentarmente ci occupiamo di alimentazione sana di corpo e mente, ma (no, meglio) e stavolta parlerò di non alimentazione del corpo. Si apre il 14 ottobre, al Pac di Milano, la mostra Ri-scatti. Fino a farmi scomparire sui disturbi di comportamento alimentare, a cura di Diego Sileo. Unico neo della mostra a ingresso gratuito è la durata: c’è tempo fino al 24 ottobre per vederla, dopodiché le fotografie saranno vendute e i fondi raccolti andranno all’Associazione Erika, con sede presso l’Ospedale Niguarda di Milano, che dal 2000 opera a sostegno dei pazienti affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare e delle loro famiglie. Ideata dalla Onlus Riscatti e promossa dal comune di Milano, come sempre nella Settimana della Mente, tratta una tematica sociale in scatti fotografici che sanno emozionare più di ogni altra mostra di grandi autori, perché è fatta di storie vere che offrono il proprio punto di vista personale rispetto al disagio vissuto. Quello di 9 ragazze e 1 ragazzo, in cura all’associazione Erika dell’ospedale Niguarda. Ognuno di questi 10 ragazzi ha descritto un aspetto specifico della propria malattia. E si racconta anche in monologhi che costituiscono la materia dell’installazione audio al piano superiore che davvero gonfia di lacrime gli occhi.
Ma prima bisogna vedere tutte le fotografie. E leggere i cartelli didascalici che ci forniscono i dati dei disturbi di comportamento alimentare, che rappresentano una delle più frequenti cause di disabilità in età giovanile, e i pensieri dei 10 pazienti. Di fronte al giardino con i savi di Fausto Melotti apre il percorso fotografico una ragazza che ha già scelto di farsi scomparire, incappucciandosi con una busta di cartone per la spesa, che a lei serve invece per svuotare la sua esistenza negandola. La foto apre a una raccolta di gabbie, nastri rosa e catene che sono la malattia che le tiene strette a sé. E poi nelle altre fotografie si alternano pieni e vuoti. Tra i pieni tanti ricordi, tanti pensieri scritti in diari o bigliettini solidali tra pazienti. Tanti dettagli dei corpi maltrattati e bottiglie che introducono il tema della trasparenza sempre più insistente nel finale della mostra, dove le foto sono deformate da dissolvenze o sfocature. Tra ombre, manichini e piatti ora vuoti, ora strabordanti, c’è una carota magrissima, sbucciata fino all’osso, così che è presente per assenza, come tutti gli altri corpi. Mostrare le ossa significa cercare la propria durezza – spiega una paziente.
Fino a scomparire.