Povere creature! e Alberto Savinio

Finalmente sono riuscita a vedere Povere creature!, che, essendo firmato da uno dei miei registi contemporanei preferiti, è uno dei pochi film usciti quest’anno, con Perfect days, che desideravo vedere a tutti i costi. Il regista Yorgos Lanthimos, sa perfettamente miscelare classicismo e surrealismo, a guisa di Alberto Savinio, il fratello di Giorgio De Chirico, anch’egli genio della pittura, nonché letterario e persino del teatro. Guarda caso sia il regista che il pittore hanno origine greca, da cui il classicismo. I film di Lanthimos rimettono sempre in scena una tragedia classica. Il sacrificio del cervo sacro si ricollega evidentemente al mito di Ifigenia, The lobster è cucinata con gli ingredienti di una commedia di Aristofane: distopia, straniamento, ridicoli individui con menomazioni fisiche, sesso, idealità derise. Ed evidentemente il richiamo è alle Metamorfosi di Ovidio.
La Favorita, che racconta il rapporto morboso tra la regina e la sua amica d’infanzia, la duchessa di Marlborough Sarah Churchill, e la baronessa Abigail Masham, la corte inglese del 1700 e il film allude alle tragedie di questo secolo che guardavano a quelle classiche per unità, argomento, ambientazione greca e romana e il cui interesse si focalizza sulla donna sventurata.
Anche Bella, la protagonista di Povere Creature! non gode di un lieto fato, come si evince sin dal primo fotogramma: una vertigine sul vuoto di una donna stretta in abito rinascimentale, e dal titolo capiamo subito che lei è una povera creatura, in compagnia di tante altre. Talmente povera che il primo capitolo della sua vita non merita i colori, ma il bianco e nero.

Alberto Savinio, Annunciazione. In Casa Boschi Di Stefano


Chi sono le altre povere creature? Tutte quelle che compaiono nel film lo sono, persino gli animali tutti ibridi di specie diverse, ma in primis il papà Godwin (Willem Defoe), che ce lo dice il nome è proprio Dio creatore, sebbene pure lui sia stato creato da un padre terribile che lo ha usato per i propri esperimenti medico-chirurgici, proprio come Godwin ora fa con Bella per antonomasia, alla quale almeno preserva il bel volto rinascimentale dalle cicatrici che invece sfregiano il povero padre. Certo, non quelle dell’animo, che invece le ha affatto sfregiato, in prima persona, pur cercando di farla sempre migliorare, e di darle il suo affetto e quello di un suo studente bullizzato dai compagni chiamato a stimare questi miglioramenti: Max, che – su intercessione del padre – presto chiede a Bella di sposarlo, Tuttavia Godwin non vuole che i promessi sposi abbandonino il tetto paterno, così impone un accordo prematrimoniale, iniziate a capire perché anche Max è una povera creatura? Bullizzato dai compagni e dal padre della donna che ama non può che essere infelice. Non solo, L’avvocato Duncan, chiamato a stipulare il contratto prematrimoniale, gli soffia la donna amata Duncan è un personaggio meravigliosamente divertente – sì, perché in mezzo a tanta infelicità si ride di gusto – per quanto è grottesco. Rapisce Bella e le fa conoscere il piacere, spacciandosi (o forse è vero?) per tombeur de femmes, in realtà un uomo affatto ridicolo, che cerca di contenere il suo comportamento smargiasso che lo impettisce oltre misura con una pancera-corpetto, per sembrare soltanto possente come L’orateur di Alberto Savinio



Alberto Savinio, L’orateur.

Bella in fuga con Duncan effettivamente ritrova i colori, riscoprendo il piacere, da cui è ossessionata e cerca in continuazione in bianco e grigio con impudico onanismo, a colori con “furiosi sobbalzi” che non le bastano mai, mentre paiono il galletto Roger e Angelique di Savinio. Con Duncan scappa in Europa.

Alberto Savinio, Ulisse e Polifemo, 1929. Al Mart

Ma il Casanova Duncan convinto che le donne siano usa e getta, finisce per innamorarsi di Bella e di soffrire di una gelosia spropositata che sfocia in una nuova reclusione della povera Bella costretta sola con lui su una nave da crociera, ma la donna fugge anche lui persino in una situazione così coatta, dimostrando sempre di più la presa di coscienza della condizione femminile, e cresce anche l’umanità della donna, completamente sconvolta da rovine di guerra perché inizia a diventare anche bella d’animo, proprio come desideravano il papà e il promesso sposo, che nel frattempo, per superare la perdita, sperimentano su un’altra fanciulla, Felicity, che stavolta non è per antonomasia, ma per ossimoro. Mentre Bella, scesa dalla nave per mantenere lei e Duncan inizia a prostituirsi in un bordello parigino, in cui sfilano una serie di uomini orrendi, che paiono dipinti dal pennello di George Grosz, tanto sono caricaturali e grotteschi, come la pappona del bordello tutta tatuata e con il gusto perverso di mordere l’orecchio di Bella.


Alberto Savinio, Orfeo ed Euridice, 1951 Alla Gam di Firenze,

Felicity non riesce a sostituire Bella, non fa alcun progresso e i due patriarchi da cui Bella è scappata si mettono sulle sue tracce. Bella – che nel bordello ha sviluppato una coscienza socialista e femminista torna nella casa del padre, che si rivela quello che tutti noi siamo, un esperimento sbagliato. E a questo punto, Duncan si rivela ancora più meschino di quanto non sia stato sino a questo punto della trama. Mentre Bella sull’altare sta finalmente per sposare Max, l’avvocato tira fuori il deus ex machina: il vecchio marito di Victoria, che è il corpo di Bella suicida in quel primo fotogramma, nonché padre del bambino che Victoria portava in grembo e, dopo l’intervento di Godwin, ora porta in testa. Di nuovo Bella abbandona il tetto patriarcale e torna con il primo marito Alfie sadico generale dalla pistola facile, ma come quando Bella era Victoria i due si detestano a vicenda, al punto che lui vuole mutilarla a livello genitale per tarpare la sua dirompente sessualità. E così anche questa fuga ritorna al punto iniziale, dove Bella si ricongiunge con le povere creature che abitano la casa di Godwin, che ora si arricchisce di un nuovo abitante: Alfie ibridato con una capretta.


Alberto Savinio, Penelope da collezione privata.

Allo stesso modo di Yorgos Lanthimos, tutte le arti in cui Alberto Savinio espresse il suo genio non sono riposanti, perché piene zeppe di allusioni simboliche, citazioni e richiami che richiedono uno sforzo intellettuale all’interlocutore. Chi guarda i dipinti di Savinio, si trova in compagnia di eroi mitici imponenti nei loro corpi e imperturbabili nelle loro facce rubate a galli, galline, pellicani, cavalli, cervi, pesci, tra specie diverse mischiati.
Le donne del pittore greco, sopra lunghi colli alla Parmigianino, sono tacchini o struzzi che gloglottano tra loro o aspettano sole riflessive; gli uomini hanno superbe teste-gallo o imbarazzanti piccole teste-uova sprovviste di bocca, orecchi e occhi. I corpi, benché siano sempre forti e monumentali, non sono immuni da altrettanto strane mutazioni.
Numerosissimi corpi sono letteralmente statuari per scoprire verità sul potere demiurgico dell’artista. Flora, protagonista di un omonimo racconto di Savinio, rivela “la vita misteriosa delle statue; le quali non sono materia inanimata come crede il volgare, ma creature che già furono vive e poi imbalsamate nella pietra, ov’esse abitano per sempre, in compagnia della loro anima e dei ricordi della loro vita mortale”. Tra le architetture, le più meravigliose sono quelle fatte di giocattoli variopinti ora approdati a riva, ora lievitanti nell’aria; tra gli oggetti i bozzetti per stoffe, tappeti, arazzi.

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