Into the wild: diatribe selvagge
Mmmmm, la strana coppia non ha proprio gli stessi gusti in fatto di cinema. Forse sì, forse no… “Boh” – direbbe Lui – “Non siamo andati al cinema e ora cosa recensiamo????”, risponde Lei, sempre sul pezzo. La prima toppa che prova a piazzare Lei è stroncare Gravity, mettendolo a confronto con Viaggio nella Luna di Georges Méliès, 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e Solaris, l’originale, però, quello di Andrej Tarkovskij. “Parliamo del mistico, del lirismo, della poesia e tiriamo una frecciata contro la super pesantezza dell’americanata solo effetti speciali, altro che Gravity”, si infervorisce Lei. “Non so un cazzo”, dovrebbe dire Lui, ma non lo ammetterà mai (esattamente come non lo farà Lei… NdLui), e quindi prova a cavarsela con un “Troppo facile”. E lancia la soluzione facile, appunto, e veloce: sul mio blog è pieno di recensioni. Lei nemmeno vorrebbe aprire quella porta, e avrebbe fatto bene, ma la soluzione facile non è per forza da non cogliere. “Ammazza che cesso sto blog… Ma che è sta roba???? Non l’ho visto, non l’ho visto, non l’ho visto, non l’ho visto”… abbiamo proprio gli stessi gusti, pensa Lei. Lui ama Rossellini, convinto abbia diretto Hiroshima mon amour, Lei ama Alain Resnais perché lo ha girato per davvero. Non l’ho visto, non l’ho visto, non l’ho visto, L’attacco dei cyborg???? [(Ma che cazzo guarda?????) Guarda Ghost in the shell, ‘gnurant! NdL] non l’ho visto, non l’ho visto, non l’ho visto … L’ho visto!!!!!
INTO THE WILD, SEAN PENN 2007
Lei
L’ho visto troppi anni fa e non lo ricordo molto bene, ma qualcosa nella testolina è rimasto. Avverto ancora l’odio nei confronti dell’attore protagonista Emile Hirsch, mentre attraversa le terre selvagge. Arrogante, so tutto io… Poi il saputello finisce per trovarsi in posti da Fino alla fine del mondo di Wim Wenders. Un po’ inizio a invidiarlo, a sognare a occhi aperti la sua solitudine nell’immensità, a desiderare un silenzio interrotto dai soli rumori della natura. Ecco vorrei essere lì a fargli compagnia …O forse no? Solo arrivando fino alla fine del film si intuisce che quello che fin dall’inizio hai detestato non sta per fare una bella fine. Vorresti confortarlo, offrirgli sostegno, una parola di tenerezza… No, dai, ora mi spiace, mi sento quasi in colpa. Oddio, pure la carne piena di vermi e mosche… Ma che sfiga! Per lui Hollywood non ha previsto un atterraggio d’emergenza dopo una lotta spaziale, ma l’approdo a una morte dolorosamente lancinante e quel che è peggio, consapevolmente cercata.
Lui
Il merito più grande è forse quello di far parlare di sé. Troppo spesso all’uscita dal cinema non ci si trova ad aver granché da dire su quanto appena visto. Bello, mi è piaciuto, che cagata, ahah, ma che ridere quella scena, wow: che figa quell’attrice. Trenta secondi e la pratica è sbrigata. In questo caso probabilmente molti gruppi di visione hanno sfondato diversi minuti di conversazione sulla folle scelta di Christopher McCandless. Chi affascinato dal suo coraggio, chi basito di fronte alla sua idiozia e ingenuità. Sean Penn dà l’impressione di aver amato visceralmente la storia di questo ragazzo. Sembra mettersi dalla parte di tutti coloro che Chris ha incontrato sulla sua strada, a cui lui si è legato, ha dato, ha amato, ma senza mai perdere il suo obiettivo più grande. Lui alla fine se ne va sempre, senza rimpianti e senza guardarsi indietro, lasciandoci lì attoniti e allo stesso tempo affascinati, a guardarlo continuare indomito il suo viaggio. Sembra quasi cattivo, egoista. Non sembra far parte di questo mondo di gente che si affeziona, che non osa staccarsi dalle proprie sicurezze. E, infatti, di questo mondo lui non vuole far parte, lo rigetta, pur essendo il mondo che lo ha reso quello che è. Tutta la base ideologica e letteraria che giustifica e stimola il suo agire è prodotto di quel mondo, e se la porta appresso, simulacro di quella umanità da cui si è voluto staccare e a cui alla fine lascia le sue ultime parole, la sua presa di coscienza. Il film a mio avviso è fatto di alti e bassi. La bellezza di alcune scene è innegabile. La pedante e didascalica voice over ha infastidito molti. La lunghezza mi è parsa tutto sommato ingiustificata. L’uso dello split screen come frammentazione temporale non mi ha convinto. Insomma c’è sempre comunque qualcosa che non convince appieno, che sia di natura ideologica o semplicemente tecnico-stilistica. La storia è però indubbiamente affascinante e commovente, nonché una riflessione sul rapporto conflittuale tra uomo e società di notevole vigore e interesse.