Ida, come sei bella

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Caravaggio, la morte della Madonna, olio su tela (369x245 cm) realizzato nel 1604. Oggi al Museo del Louvre, Parigi.

Bisogna sempre fidarsi di chi scola vino, mai di chi beve acqua, diceva il saggio. Quindi la Strana coppia ha approfittato di Rivediamoli per guardare al cinema Ida di Paweł Pawlikowski, caldamente consigliatole.

Lei
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Chi è IDA? È un segno linguistico fatto di tre lettere: una sottile e magra, che ricorda la penitenza conventuale, ingrassata con la seconda che mostra la panza gravida e l’ultima ianica e bifronte per guardare al passato da un lato e al futuro dall’altro, tempi uniti da un esile punto di congiunzione tenuto insieme dalla fragilità di un’altra donna: Wanda, un’esistenza fragile e, al di là delle apparenze più sacra della novizia Ida. Che la zia Wanda, interpretata da Agata Kulesza, ci aiuta a scoprire chi era, chi sarà e chi è: una donna bella, con una fossetta sul mento e due in più quando sorride, quindi raramente. Capelli e corpo tessuto grigio topo, aggiungo io. La chiave di lettura più riuscita del film è l’incontro scontro tra sacro e profano. Se le protagoniste femminili sono una novizia e una puttana, non è difficile immaginare chi rappresenti una sfera e chi l’altra. Invece nulla è così dogmatico nel film di Pawlikowski. A diffondere il Verbo è solo la puttana Wanda, Maddalena alcolizzata e fumatrice, dedita al vezzo e al piacere. È lei il Giudice della storia, ex procuratore comunista non più in attività, ma ancora rispettata e ricordata come integerrima e giusta nella sua professione. È lei l’Agnello sacrificale, quello che non può sopportare i peccati del mondo, che fugge. Ida vive solo per un momento la sua vocazione: quando è chiamata a benedire un bimbo  e lo fa perché deve. Una delle scene più intense della pellicola in bianco e nero é rappresentata da Ida a capoletto della zia Maddalena, col ventre gonfio di alcol e il volto squassato da Eros e Tanatos. Un momento in cui la pellicola va tinta dei rossi della Vergine morta di Caravaggio, quella rifiutata dai committenti per essere troppo poco ieratica, con quel ventre gonfiato dai liquidi di morte e le unghie nere, prese  in prestito dai tratti di una prostituta annegata nel Tevere. A pregarla la Maddalena col capo chino.
Le tre fossette Ida ce le mostra soltanto alla fine, in una corsa della telecamera alla Dardenne che segue lo stato d’animo di queste tre lettere, sballottate tra religione cattolica ed ebraica, castità  e maternità, passato e futuro.

Lui

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“Che sacrificio è se non hai mai neanche provato?” Così zia Wanda stuzzica la novizia Ida sulla sua religione e la sua vocazione all’inizio del breve viaggio che le due donne faranno insieme nella Polonia dei primi anni ’60. Un percorso che si fa memoria storica di un paese che dopo aver conosciuto il nazismo è ora dilaniato tra cattolicesimo e marxismo, mostrando una galleria di personaggi che paiono tutti schiavi di loro stessi. Pawlikowski gira un film classico con forme moderne. Lo schermo in un insolito formato quadrato (4:3) accoglie le evocative immagini in bianco e nero che rimandano al cinema dei silenzi e dell’introspezione degli anni ’60, con inquadrature fisse che si spezzano solo nel finale piano sequenza con macchina a mano. Il movimento che infine irrompe nel film porta con sé la presa di coscienza della bella Ida, racchiusa nella domanda/risposta rivolta non più alla zia, ma direttamente allo spettatore: “E poi?” 

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