Youth invecchia lo spettatore
Un inno alla noia quello composto da Paolo Sorrentino. Lo ha intitolato Youth, ma racconta la storia di due anziani consuoceri villeggianti in Svizzera. Titolo in lingua e cast internazionale, quasi a sperare un’altra nomination all’oscar come migliore film straniero. Prova pure a rimetterci gli stessi ingredienti: dalle reminiscenze felliniane ai virtuosismi di macchina, ma stavolta parrebbe non fregare nessuno. O quasi: appena entrati vediamo uscire dalla sala gente spossata. Lui dice: “mi sa che non piace molto”. Ci sediamo e dietro di noi una coppietta, con il Lui che si erge maestro di critica: sia Mia madre che Youth trattano il tema della vecchiaia, ma mentre Mia madre di Moretti è triste, Sorrentino lo fa con allegria”. Tale che, quando dopo i primi 15 minuti di introduzione, ho letto il titolo del film ho sperato fossero quelli di coda. E invece no: ci vorranno interminabili ore di noia per finalmente vederli scorrere sul grande schermo. A me di Sorrentino è piaciuto soltanto Le conseguenze dell’amore, poi è tutto forma manierata. E, dunque, fastidio, almeno per me. In Youth si dimentica pure di quella. E qui sta il problema del film: niente forma e niente contenuto, insomma niente di niente. Sullo schermo scorre soltanto la noia. E quando Sorrentino se ne accorge è troppo tardi: siamo ormai al finale, o meglio ai finali: ne sbobina uno dietro l’altro, lasciando lo spettatore sfiancato e schiacciato sulla poltrona.
Una latrata degna di massimo Bertarelli, però almeno lui oltre il cliché “noia – almeno per me” riesce ad andare. Tu no.
Beh se a te, SK, è piaciuto sarei lieta di sapere perché.