L’Accabadora di Pau parla in silenzio di eutanasia

Questa è la cronaca di un tema che non si deve raccontare. Se non per dire la propria quando il tema è caldo e le televisioni ci riprendono. È il caso dell’eutanasia. Quando dj Fabo l’ha avuta non c’era personaggio – soprattutto politico che non intervenisse nel dibattito, salvo alla discussione alla Camera sul testo di legge del biotestamento – nonostante quanto arranchi dire Giacchetti, cui bisognerebbe ricordare che i numeri sono numeri. E ora al cinema esce Accabadora, che io aspetto con ansia per scoprire che l’unica sala che lo dà a Milano è irrangiungibile di sera con i mezzi che a mezzanotte terminano le corse. Quindi si può vedere soltanto il pomeriggio festivo, sempre che sia ancora in programmazione, perché se un film non supera un “periodo di prova” di poco meno di tre giorni sarà tolto dalla programmazione del cinema. Ma quale ragazzo va a vedere un film sull’eutanasia nel pomeriggio? Ed è così che il film viene silenziosamente censurato. Che poi a dare la sua visione del tema è una voce nuova: Enrico Pau, poco conosciuto: sarà pericoloso il suo pensiero? Ma non mi piego a questi mezzucci e il film, approfittando delle festività, nonostante si mettano in mezzo pure febbre e allergia, lo vedo, perdendo il corteo, ma ne è valsa la pena.

 

Perché Enrico Pau tratta il tema così scottante con sensibilità e lirismo del tutto inaspettati. Leggero come il vento sardo. Pochi giorni fa mia sorella mi ha descritto la Sardegna come una terra troppo piena di locali billionaire e fortemente ventosa. Il vento è quello che trasporta Annetta a Cagliari. Il vento di Pau è attraversato da macchie di lutto rinunciate all’amore: Tecla scegliendo la prostituzione, sua zia Annetta preferendo Tanatos ad Eros. A ogni bombardamento, la popolazione fugge nei rifugi, ad eccezione di Annetta che si muove in direzione opposta, incontro alla morte, che lei deve dare ai moribondi. Non sappiamo se questi la cerchino o meno, sappiamo soltanto che, quando Annetta volge icone sacre e crocifissi, è Accabadora, che in sardo significa Colei che finisce, figura sarda che faceva l’eutanasia, parola tanto petrosa nel vernacolo sardo. Le corse nel vento allora rallentano, come i gesti e gli altri movimenti. Questa lentezza di movimenti ci induce ad accompagnarli: c’è chi quel cuscino lo stringe forte e preme ancora con più veemenza contro le facce e chi lo lascia cadere. Anche Annetta con la sorella preferisce al cuscino il soffocamento contro il proprio petto. Il film è contrassegnato da sovrumani silenzi, perché il tema trattato così spinoso, non ha bisogno di parole. E soltanto alla fine Annette sceglie Eros e non Tanatos.

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Una risposta

  1. 31 Ottobre 2017

    […] scritto : “è uno dei tuoi soliti film di nicchia” che significa “è una garanzia” (vedi Accabadora e Sicilian ghost story). Comunque il trailer non lascia dubbi e, per un Halloween da paura, ho visto […]

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