Il mondo del lavoro in editoria

Io sono giornalista pubblicista, dopo decenni di soprusi e sfruttamento vergognoso, dove il concetto di paga era un mistero, sono riuscita a iscrivermi all’albo dei giornalisti. Ma contemporaneamente scopro di avere un tumore: perdo tutti i lavori che faccio come una schiava, persino quelli gratis. C’è la paura che se ti senti male mentre stai lavorando per loro a gratis, tutte le marachelle escano fuori, allora ciao, amore, ciao. Qualcuno, per dirla tutta, ha dovuto anche chiudere piegato dalla crisi economica. Da qualche mese sono tornata a lavorare nel settore per assistere a cose mai viste: prima su tutte ed esemplificativa al 100%, il vecchietto che porta in conferenza stampa della mostra della fondazione Prada la nipote che scoppia a piangere mentre l’artista in mostra spiega in inglese il suo lavoro. E tutti a chiedere silenzio, ma povera è una bambina! I più anziani si lamentano per scale e assenza del traduttore e persino perché non è stato offerto loro nemmeno un caffè: mummie scroccone è la dicotomia perfetta per disegnare la categoria.  Bisognerebbe obbligare in ogni settore professionale, ad andare in pensione, così il lavoratore anziano può godersi i contributi versati e permettere alle nuove leve di far crescere i propri. Ma cosa possiamo pretendere da chi legifera per noi? Ed è così che ieri, venerdì 28 aprile, a Studio Aperto sento in un servizio il giornalista che, infastidito dalla pioggia, conclude l’intervento con: “speriamo che il cielo non pianga”. Insomma, è soltanto un bambino!

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