Il diritto di contare

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Una storia sconosciuta perché che donne e pure di colore negli anni Sessanta abbiano dato il loro contributo per esplorare lo spazio, ancora oggi non si deve sapere, figurarsi ai tempi. Il diritto di contare però lo rivendica il film di Theodore Melfi. Hidden Figures, il titolo originale. Nascoste perché se eri donna e per di più di colore avevi accesso soltanto a delle aree nascoste in luoghi improbabili nella Nasa del tempo. E così la matematica afroamericana Katherine Johnson, promossa a fare i calcoli delle traiettorie dei primi viaggi aerospaziali, per fare pipì doveva attraversare 400 metri e di corsa per riuscire a portare a termine i conti il prima possibile. Anche il caffè che le è riservato è una fregatura. Ma lei tenace non risponde ai soprusi e porta vanti i suoi calcoli con fermezza e vive la sua vita di segregazione serenamente insieme alle sue colleghe amiche Dorothy Vaughan, supervisore non ufficiale, e l’aspirante ingegnere Mary Jackson. Perché loro sono troppo intelligenti rispetto a uno stuolo di uomini razzisti e ignoranti. E nemmeno i dispetti di quel nerd di Sheldon, qui Jim un matematico che non riesce in alcun modo a mettere i bastoni tra le ruote a Katherine, faranno desistere la matematica dal salire alla lavagna e con gessetto risolvere calcoli impossibili. Le tre donne si prendono sempre di più e a fatica i loro spazi mentre l’astronauta John Glenn conquista lo spazio, grazie ai loro calcoli.
Il film ha il merito di non scadere nel facile americanismo della conquista dello spazio, riconciliando la storia della finzione con quella di una realtà ancora troppo sconosciuta.

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