Cosa mangiavano i Romani
Quest’estate, con la mia compagna di banco Spappy, sono andata a visitare l’acropoli del Tindari. Qui ho pensato che potevo scoprire cosa mangiavano 2mila anni fa i Romani, facendo una ricerca su Pompei, dove sono stata in visita quando ero ancora ventenne. La lava ha cristallizzato sotto di sé e tramandato nei secoli a venire fichi, bucce di melograno, per la preparazione dei colori, chicchi di grano, olive, grappoli d’uva passita, datteri, pinoli, noci, mandorle e, nell’acqua a Murecine, una pigna intera. A dare sapore, spicchi d’aglio, cipolle, bietole, senape, zafferano e mentuccia. Michette senza lievito e favino carbonizzati, prodotto in diversi panifici con annessi mulini con macine in pietra, dimostrano che il pane era senza dubbio un alimento base. Tra i cereali anche un piatto di farro e uno di miglio. Altro legume presente tra i resti organici ritrovati, la veccia, impiegato per l’impasto misto del pane. Quindi i nostri avi mangiavano cereali e legumi, come già l’Uomo di Neanderthal. Poi l’alimentazione è stata ocrrotta dall’industria alimentare. Sicuramente sulle tavole dei Romani abbondavano anche verdure e frutta, come dimostrano i noccioli di pesche ritrovati e le testimonianze di Plauto, il quale per il notevole uso di verdure, coltivate anche negli orti domestici, diede ai romani il nomignolo di “mangiatori di erbe“. Plinio il Vecchio classificò circa mille piante commestibili, molte delle quali esaltate per le virtù terapeutiche. In particolare, a Pompei era famoso il cavolfiore. Scriveva Catone su questo ortaggio che anche a noi è raccomandato consumare in abbondanza: “Se a un banchetto volete bere molto e mangiare con appetito, prendetelo crudo prima del pasto e fate altrettanto dopo, vi sembrerà di non aver ingerito nulla e potrete bere quanto volete“. Negli orti si coltivavano anche lattuga, broccoli di rapa, basilico, carote, crescione e porro. Tra la frutta contavano mele, melograni, cotogne, pere, uva, fichi e prugne. Un condimento molto gradito ai pompeiani era il “garum“, una salsa ottenuta dalla macerazione in salamoia di alcuni pesci azzurri con altri, come i tonni, e dalle loro interiora. L’uso del garum era talmente diffuso che a Pompei vi erano dei laboratori di produzione che ne commercializzavano di diverse qualità. La produzione era favorita anche dalla presenza delle “Salinae Herculeae“. Nelle vaste saline, fuori le mura pompeiane, lungo la fascia costiera, veniva prodotta la salamoia, elemento di base della salsa.
Guarda la gallery dei cibi carbonizzati ritrovati a Pompei.