I misfatti dei navigli di Milano

chiudevo l’articolo precedente confessando che mi sono spesso chiesta, quando percorro a piedi il naviglio della Martesana cosa potrebbe essere accaduto dietro le finestre delle meravigliose ville di delizia, ossia di piacere. Perché spesso protagoniste di misteri e delitti. Ho letto di molti misfatti mentre preparavo il pezzo sui navigli. In seconda e terza pagina del Secolo-Gazzetta di Milano, datato mercoledì-giovedì 11-12 settembre 1889, ho letto la cronaca dell’Avvelenatrice del marito, Cecilia Cazzaniga, che in Cascina Olgettina, non distante dal residence del bunga-bunga di Silvio Berlusconi. Cecilia,figlia del fittabile della cascina tentò maldestramente di uccidere il marito Edoardo Montorfano. Cecilia ed Edoardo litigavano in continuazione e lei pensò di risolvere i loro dissapori avvelenando la minestra del marito. Il veleno che scelse era una miscela di verderame, acquistato incautamente da lei stessa nella farmacia di Cernusco e di sublimato corrosivo (cloruro mercurico, usato a quei tempi come disinfettante locale). Ma Edoardo, insospettito dal colore rossastro della minestra, non la mangiò e la buttò. Il fratello di Edoardo insospettito conservò la minestra e per cercare di avere qualche spiegazione la mostrò al droghiere ed al farmacista del paese. La famiglia sempre più sospettosa, con una scusa mandò Cecilia a far compere dal farmacista che riconobbe in lei la donna che qualche giorno prima aveva acquistato 15 centesimi di verderame. Donne “velenose” erano di moda in Lombardia, come replica la Donna lombarda di Gualtieri, con il bambino più inquietante di sempre.

Per non parlare del cunt Marin, antenato del signore del milanese palazzo Marino, a Gaggiano, sul naviglio Grande, viveva nella villa monumentale, chiamata Palazzo Marino perché dimora di Tommaso Marino, spregiudicato finanziere genovese del Cinquecento, da cui discenderà l’omonimo Tommaso Marino che chiamò Galeazzo Alessi per erigere in piazza della Scala a Milano il ben più noto e milanese Palazzo Marino. Come ogni villa di grande fascinazione, non manca una leggenda sull’edificio abitato dai fantasmi: si narra, infatti, che il Cunt Marin, farabutto e libertino senza scrupoli, esoso esattore delle gabelle statali, tra le sue numerose avventure d’amore, s’imbatté, quando già era avanti negli anni, nella giovane e bellissima Ara, figlia del nobile veneziano Cornaro (Corner), che volle sposare a forza; e poiché la virtuosa donna tentava con ogni mezzo d’impedirgli le solite malefatte, prima la fece imprigionare in questo suo palazzo e poi le tese un trabocchetto mortale trucidandola. Ara fu sepolta in un angolo del giardino, ma mai abbandonò la casa che ancora infesta. Giovanni Ventura scrisse su questa storia un dramma in tre atti dal titolo Ara bell’ara discesa Cornara ossia il rarredimento del conte Tommaso Marino.

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