Mai mangiare da un’oste che non conosce l’ospitalità
Il 19 ottobre è il compleanno della mia nipotina Rugra, allora simo andati a mangiare alla Vecia Hosteria di Luisago. Faccio nomi e cognomi perché invito a non andarci ecco il motivo. L’ho scritto anche su Tripadvisor, perché come Alimentarmente sono anche lì a dire la mia.
Ci siamo andati per festeggiare i tre anni della mia nipotina, con suo fratellino di 5 e la cugina di quasi 10, tutti i nonni e le due zie, insomma la famiglia allargata della festeggiata al completo. La piccola è gasatissima per il suo compleanno e la sua festa, circondata da tutti i suoi cari. Lei è tutta in rosa pronta pronta a dimostrare che, ormai che è grande, mangerà tutto per crescere ancora. Ha con sé qualche gioco per disattendere l’attesa dell’ordine. Un unicorno e una favola in inglese che le leggo, traducendola. Mangia, mangiamo tutti, beviamo, come conviene a una festa. Poi arriva il momento del conto… no, non è salato, almeno credo, perché non ho pagato io e non so riportarvelo, me il prezzo è stato alto: è arrivato il cuoco e credo- temo (perché certi esseri subumani non dovrebbero avere una vita sociale) anche titolare, e da un momento all’altro con la faccia e il corpo visibilmente infuriati da una rabbia illogica mi si mette occhi negli occhi, denti digrignati nei denti macchiati di caffè appena preso a gridare al tavolo contro di me che non tollero l’aggressività normalmente, figurarsi alla festa di una bambina. La più grande dei tre scompare, io, invece, uso la tecnica “Faccio finta di ascoltarti, ma in realtà non sento una parola di quello che stai dicendo, a meno che non ti calmi”. Credo lo abbia compreso e per questo sia scattato con un coup de théâtre a cercare di attirare l’attenzione. Nella mia vita ho incontrato tanti fascisti. In particolare, quando, da giovane, lavoravo in un call center in via Vittorio Veneto, a porta Venezia era appostato un gruppo di fascistelli che individuavano il credo politico nel modo in cui ti vestivi e nelle loro bandiere di Forza Nuova e CasaPound. Il loro fascismo, poi, stava tutto nella testa pelata, anfibi e pantaloni militari dentro il collo dello scarpone. Io per loro ero una puttanella comunista. Nel loro pensiero illuminato, “puttanella” perché donna, comunista, sicuramente per i vestiti un po’ da fricchettona, sicuramente troppo colorata, lontana dal nero che sta con tutto, soprattutto con i destrorsi. Non c’è stata una volta che non mi hanno gridato puttanella comunista. Ma non ho mai avuto paura di loro, solo tanta pena. Una volta mi hanno inseguito fino a lavoro e mi hanno detto “Attenta, puttanella comunista, ora sappiamo dove abiti”. Nemmeno un tremolio, io vengo da via Padova che ti insegna a vivere davvero la strada. Ecco, i fascisti li ho incontrati e affrontati spesso, ma mai mi era capitato e per fortuna di avere a che fare con un nazista. Allora sono alla festa di compleanno della piccola e arriva questo essere subumano e non so perché, visto che non lo stavo ascoltando, ma mi fa il pippone sui comunisti prima, poi inizia a prendersela con gli ebrei che a lui non gliela fanno perché loro piangono da decenni, mentre nessuno racconta mai di quelli delle fosse – credo intendesse le foibe, ma chi può dire cosa pensava quella povera mente. Racconta di uno stupro e poi del corpo della donna gettata in quelle che lui è convinto siano le fosse. Si sforza a raccontare meglio che può, perché capisce che non lo seguo e allora esplode e urla contro me sempre più disattenta: “signora, io reputo gli ebrei una razza inferiore” e poi non sento più, incrocio soltanto gli occhi agghiacciati di tutti i commensali, anche della maggiore dei bambini, che intanto era tornata. Siamo tutti sconvolti. La voce di mia sorella rompe il silenzio calato pesante: “Lascialo perdere, non merita nemmeno una risposta”. Io non voglio rovinare la festa della mia nipotina più di quanto abbia già fatto il nazista, e così mi trattengo se non che non riesco proprio a tenere in bocca un Non sono maleducata quanto lei per risponderle come vorrei. Ma ci tengo a dirle che mi fa proprio schifo. All’uscita, lontana dai bambini, lo cerco per ricordargli che oste, da cui il nome del suo ristorante, viene dal latino e significa ospite, mentre lui l’ospitalità non sa nemmeno cosa sia. Per me mangiare è ospitalità e convivialità, ma non per un orrendo nazista.