Cronaca di un marziano giunto alla fase2

L’attesissima fase2, anche se malcompresa, era attesissima. E, io , come immagino, tantissimi altri milanesi, sono uscita per inaugurarla. Dopo quasi 50 giorni che non li vedevo, se non in videochat, sono andata dai miei nipotini e da mia sorella. Indosso mascherina e guanti: Milano è ancora deserta, non posso crederci che nessuno abbia approfittato dell’allentamento delle restrizioni. E invece, davvero la gente in giro è pochissima, mai ho visto via Padova così deserta, le fermate della sempre stracarica 56 vuote, e l’autostrada Milano- Laghi attraversata dalla sola nostra macchina che raramente ne superava altre abitate da massimo 2 persone tutte con mascherina. Meno ho visto i guanti. Ma la cosa che più mi ha sconvolto era un padre alla guida con figliolo nel posto in diagonale a lui opposto, così integerrimo da infastidirmi.

Nessuna mascherina ha nascosto sorrisi e risate per la contentezza di rivederci e per il minestrone fatto di verdure galleggianti che ha preparato la cuoca di casa, di cui ho dovuto declinare l’invito, mentre l’autrice se n’è mangiati, bevuti – meglio – due scodelle. Mentre lei lavora in smart-working, io e gli Antoni giochiamo a palla prigioniera con i bambini, che mano a mano si moltiplicavano e iperattivano, mentre tu capisci che a palla prigioniera, dopo tanti anni, è meglio se non giochi più, e pensi malinconica alla tua quarantena di riposo e solitudine. Mai lo avrei detto: mi manca e onestamente più si avvicinava il 4 maggio più mi dispiaceva un po’ dover rinunciare alla clausura forzata, che ti goderesti e probabilmente godrai di più se non fosse che i musoni asociali non ti piacciono, ma mi sono resa anche conto che non bisogna essere sempre disponibili, sorridenti, in compagnia. Qualche giorno fa, ho scritto alla mia amica Sonia che avevo trovato meravigliosa una citazione di Ocean Vuong , che avrei beffeggiato prima del lockdawn. Dice lo scrittore vietnamita: “La solitudine è comunque tempo trascorso con il mondo”. Quando si avvicinano al cancello due ragazze, che a prima vista, credo ausiliarie del traffico e invece sono volontarie del Comune, temo ci rimproverino perché in quel giardino siamo davvero troppi (quanti bambini, io di nipoti ne ho soltanto due e quanta fatica palla prigioniera, ma non voglio perdere!). E invece le due ragazze danno dei compitini da fare a casa ai più piccoli chiamati all’appello. Sicuramente non li svolgeranno, però ho trovato intelligente il tentativo di far impegnare i bambini in qualcosa di diverso dal gioco. E anche questo mi sorprende perché tutte le volte che sono andata a prendere i bambini all’asilo con il loro grembiule-divisa e lo zaino pesante sulla schiena, mi arrabbia immaginarli così per tutta la loro vita. Nelle scuole prima, a lavoro poi. E mi ferisce sempre enormemente pensarci fin da piccoli costretti a un ruolo sociale e a un giudizio, così fino al resto dei nostri giorni. Invece quei compitini – fin da piccola, i compiti per le vacanze li ritenevo una crudeltà per bambini che dovrebbero avere soltanto il diritto di giocare, almeno in vacanza – per crescere li ho visti come un’opportunità grandiosa. Al ritorno in macchina stesso scenario dell’andata. Tutti i disordini immaginati, le multe che immaginavo fioccassero sui cittadini non ci sono stati e non per grandi fratelli o controlli, ma perché alla fine noi uomini abbiamo capito che il periodo chiede dei sacrifici a tutti e nessuno punta volontariamente al suicidio per covid-19.

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