L’espressionismo di Gauguin, Matisse, Chagall per la Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani

Basisce che metta in mostra attraverso Gauguin, Matisse, Chagall, un’istituzione religiosa, come il Museo Diocesano di Milano, La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani. Perché l’espressionismo è del tutto negletto dal circuito mostre, perché è disturbante l’animo. Perché l’umanità non era e non è pronta ad accogliere tanta espressione, ad accettare le deformazioni e storture dell’uomo non nascoste, bensì accentuate dalla linea e dal colore: addio al roseo incarnato per mostrare il vero colore dell’uomo, il grigio-verde del livore e della morte, viva dentro ogni esistenza.
Insomma, l’umanità non è mai stata pronta per il disordine e lo scorretto, rimanendo fondamentalmente classicista. E così si preferisce mettere in mostra il conciliante impressionismo, che invade tutti i poli espositivi nazionali e internazionali. Mentre l’espressionismo, quando non è stato dimenticato, è stato addirittura profondamente avversato dai più furiosi. Si pensi a quanti capolavori abbiamo perso con l’Entartete Kunst, quella mostra dell’Arte Degenerata voluta dai nazisti nel 1936 che ci ha fatto perdere numerosi capolavori dell’espressionismo e delle avanguardie: l’iconoclastia del mondo contemporaneo. Troppo disturbante per noi classicisti dell’Occidente e troppo sconvolgente l’ordine. A metter pace tra le espressioni moderne e il sacro fu Paolo VI, che avviò un dialogo rinnovato tra gli artisti e la Chiesa imprimendo una svolta nella ricerca artistica nell’ambito del sacro. E, oggi, a Milano, un Museo intitolato al cardinale Carlo Maria Martini, che chiunque immaginerebbe chiuso in un soffocante conservatorismo, invece, toglie dall’oblio e osa mettendo in mostra il sacro in chiave epressionista, portando avanti la collaborazione con i Musei vaticani, già prolifica due anni fa con l’esposizione su Gaetano Previati. La passione, che aveva infiammato di pennellate rosa e rosso sangue le sale al primo piano del Museo. Ora occupate, proprio all’inizio da litografie della Vergine a opera di Henri Matisse che subito rompe con le forme del passato, avvertendoci immediatamente che le dolcissime quasi smielate Madonne di Bergognone, Raffaello o del Bellini, che pure si possono ammirare all’interno del museo, non ci sono più: Henri Matisse ne ha rotto e curvato le linee di contorno che chiudono una puerpera morbida. Ma sembra esserci un ripensamento nella Vergine in trono con bambino, dipinta a modi icona su fondo oro, tornando così addirittura all’arte medievale e tardo gotica. Nella stessa sala, le raffinate litografie sull’Annunciazione di Maurice Denis, realizzate per illustrare il dialogo tra il drammaturgo francese Paul Claudel e l’artista simbolista. Che ci fanno capire le intenzioni delle curatrici Micol Forti, responsabile della collezione d’arte contemporanea dei Musei Vaticani, e di Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano: illustrare la storia di Cristo. A partire dalla nascita anzi, con Denis, dal concepimento particolare, fino alla morte del Cristo, già presente nell’Annunciazione simbolista, dov’è inquadrata sotto l’apertura ad arco, che non lascia intravedere l’hortus conclusus – simbolo della verginità – ma il Golgota con le tre croci, che annuncia con tremenda veggenza la sorte del Cristo. Ma strappa l’attenzione su di sé La processione di Auguste Chabaud, che ci porta al protagonista assoluto della mostra: Cristo, qui massiccio e levato nell’alto del cielo blu; sotto il quale svoltano per una stradina del villaggio, in fila popolani tutti in tonaca lunga grigia e velati sulla testa china, in processione all’uscita dalla chiesa.
Gli astanti alla Crocifissione in Matteo 5-8 di Paul Gaugain, hanno, invece, perso del tutto le fattezze umane per assumerne di scimmiesche, perché di fatto disumana fu la crocifissione, resa ancora più dura perché scolpita nel legno di rovere policromo.
Cristo e il ladrone di Georges Rouault mette in mostra i muscoli squadrati del costato che si esprime più fauves nell’Ecce homo, per il quale utilizza olio su compensato. Il soggetto della Crocifissione è il più mostrato nell’esposizione dedicata alla Passione. La litografia di Marc Chagall, risalente al 1970, sotto il sole che bacia la luna, affolla i processanti della via Crucis e diventa spunto dolcissimo per una Pietà commovente, che riesce a incorporare una madre tanto addolorata da fondersi con il fianco del figlio: rimanda alla Pietà Rondanini. Colora di rosso il bianco e nero precedente La Pietà rouge che il pittore russo, naturalizzato francese, compone nel 1956. e stavolta guarda alla Pietà vaticana, sdraiando sulle gambe della Vergine il corpo esanime giallo-luce, appena tirato giù dalla croce. E sempre sua è Le Christ et le peintre del 1951, in cui il pittore si ritrae con la tavolozza in mano, interponendo tra sé e la tela appena abbozzata, la figura del Cristo in croce, posto al centro della scena, di un incarnato giallo-dorato che ne rende la presenza ancor più sovrannaturale. Il sacrificio diventa così metafora del tormento della creazione artistica: “come Cristo io sono crocifisso, inchiodato coi chiodi al cavalletto”, scrive Chagall. Lo spazio circostante è animato da presenze tipiche del suo universo iconografico: astri celesti, figure che volano, leggono la Bibbia o sorreggono la menorah, il candelabro ebraico, allusione dell’attaccamento di Chagall alla propria cultura d’origine. L’angelo della morte, questa volta, accudisce Cristo e l’angelo annunciante con le trombe il giorno del Giudizio. Nonostante questi capolavori, la Crofissione che più impressiona per l’efficacia espressionista è quella di Bernard Buffet che occupa con le sue incisioni un’intera parete. I corpi di Gesù e dei due ladroni, appesi sulle croci, gravano verso il basso perché i ventri sono già appesantiti dalle viscere della decomposizione che tirano giù dall’altezza i cadaveri, attesi dalle scale che li portino a terra. L’ultima sala non ve la racconto perché gli occhi devono vedere dietro alla Veronica del grande trittico di George Desvallières. E la vita di Cristo non può che concludersi, per ricominciare, con la Resurrezione, in mostra quella di Émile Bernard, tutta luce. E, alla fine del percorso espositivo,  si torna al principio che, Michelangelo aveva impressionato nel tocco delle dita di Dio con il primo uomo, Auguste Rodin stringe nel pugno de La mano di Dio Adamo ed Eva. In fin dei conti, la nostra cultura artistica non è così a digiuno di espressionismo perché gli eccentrici di Roberto Longhi e i rinascimentali di Ferrara non erano poi così lontani dall’espressionismo. E senza andare fino in Emilia, ma rimanendo all’interno del Museo Diocesano, proprio dirimpetto all’ingresso della mostra, la grande Pala d’altare con l‘Assunta, il Battista e Santo Stefano ritrae nella predella Cristo imago Pietatis. Così come la Crocifissione di Anovelo da Imbonate, a lato dell’ingresso, non sono espressionisti? Di quell’espressionismo di cui anche il mite Rinascimento seppe macchiarsi.

La mostra Gaguguin, Matisse, Chagall: la Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani è aperta al pubblico dal 21 febbraio al 17 maggio 2020 in orario 10.00-18.00 dal martedì alla domenica (lunedì chiuso, tranne i festivi); la biglietteria chiude sempre alle ore 17.30. I biglietti di ingresso costano 8 euro (ridotto 6 euro). Per info 02 89420019 o 02 89402671.

 

 

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