Il sacrificio del cervo sacro, ovvero sul sacrificio dalla classicità a oggi

Di Sailko - Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6669520
Filippo Brunelleschi, Sacrificio di Isacco, formella per il battistero del Duomo di Firenze, 1401. Oggi al Museo del Bargello.©Sailko - Opera propria, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6669520

Nel dopo cena, dal momento che siamo costretti in casa, sono solita controllare se la televisione per miracolo, manda qualche buon film, e scorrendo i titoli, la mia anima classicista è stata catturata dal titolo Il sacrificio del cervo sacro, che ha immediatamente richiamato alla memoria la tragedia di Euripide di Ifigenia in Aulide, che racconta il sacrificio della figlia di Agamennone per avere i venti favorevoli, ma Ifigenia, che sceglie di immolarsi, viene sostituita da una cerva per intervento della dea Artemide. Ho pensato a un riadattamento, finché ho letto i nomi di due protagonisti: Colin Farrell e Nicole Kidman, volti troppo noti dello star system per mettere in scena una tragedia classica. Ma subito rinfrancata dal nome greco del regista Yorgos Lanthimos, ho provato a vederlo. Anche perché lo davano su RaiMovie che ogni tanto trasmette qualche buon film (quindi, chi volesse potrebbe rivederlo su RaiPlay). La tragedia di Euripide mi è sempre piaciuta perché dimostrativa di una delle massime della mia professoressa di latino e greco, secondo la quale i Greci avevano già inventato tutto e che, nonostante la sua presuntuosità, nel corso dei miei studi, ho sempre ritenuto non possa essere contraddetta. Tornado alla tragedia euripidea, il sacrificio di Isacco non ne è che una ripresa, dove soltanto cambiano i protagonisti. E anche questo episodio biblico ha sempre colpito il mio pensiero per due ragioni: innanzitutto, mostra la faccia meno crudele del terribile Dio dell’Antico testamento; in secondo luogo perché è in arte il soggetto della scarsella della porta nord del Battistero del duomo di Firenze, segnante una svolta epocale nella storia dell’arte. Infatti, fu indetto un concorso che portò i principali artisti del tempo a presentare il proprio lavoro. Il bando lo vinse Lorenzo Ghiberti, ma la storia dell’arte la diede vinta a Filippo Brunelleschi per distaccarsi dalla pacatezza dell’arte classica – malgrado la citazione dello Spinario in basso a sinistra – e metterci una passione travolgente e turbante con l’angelo che irrompe da una nuvola d’oro per fermare il papà dall’uccidere il figlio. Insomma, in Brunelleschi c’è tutto il turbamento della tragedia di un padre che deve uccidere il figlio per sacrificarlo al suo Dio crudele e pio soltanto all’ultimo, quando blocca tramite con l’intervento dell’angelo che scende a bloccarlo e sostituire il sacrificato con un ariete. La vicenda è così frenetica in Brunelleschi che non c’è uno spazio libero e i due personaggi in basso che fungono da quinta per poco non cadono fuori dalla scarsella. Mentre in Ghiberti regna la calma come se nulla di straordinario stia accadendo.
Di tutta questa atmosfera classicista non c’è nulla nel film di Lanthimos se non la bellezza di Kidman che però è scalfita e abbruttita dalla malattia scientificamente inspiegabile che ha colpito i suoi due figli. Non è spiegabile perché non è terrena, ma maledizione da parte di un dio terribile di nome Martin che ha perso il padre per colpa del padre di quei due figli, costretti prima all’immobilità degli arti, poi all’inedia, fino al sanguinamento degli occhi, fase finale per la morte. Questa la maledizione dei figli, mentre la totale impotenza per i genitori caregiver, pure medici che nulla possono contro Martin se non cedere al ricatto del sacrificare un figlio in cambio del padre perduto dal ragazzo. Madre e figli sono coscienti che è questo il prezzo da pagare per la colpa del padre, che invece impiega mesi e lo capisce soltanto quando il minore dei suoi bambini inizia a piangere sangue, come da maledizione pronunciata da Martin. Per romperla non resta che sacrificare un figlio al suo Dio, tanto all’ultimo l’intervento divino lo salverà con una sostituzione animale. Sì, certo ci sarà l’intervento divino: lo dicono la tragedia classica e la Bibbia. Ma anche nella società contemporanea esiste?È presenza costante all’inizio dell’opera cinematografica quando Martin perseguita la famiglia maledetta peggio di uno stalker, una presenza che si avverte anche quando non c’è grazie all’uso magistrale della telecamera che inquadra i lunghi corridoi dell’ospedale con campi lunghi stretti e claustrofobici che portano l’inquietudine alle stelle anche perché memori delle inquadrature dei corridoi dell’albergo di Shining di Stanley Kubrick, modello anch’esso di una tragedia familiare terribile. Come quel dio. Al quale la figlia, sorella dell’immolato, cantando nel coro di apertura della Passione secondo San Giovanni di Johann Sebastian Bach, supplica:

O Signore, nostro sovrano,
sommamente e ovunque glorioso!
Mostraci con la Tua Passione
come Tu, – vero figlio di Dio –
pur nell’estrema abiezione
fosti per sempre esaltato”.

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