E morì con un falafel in mano, ovvero il tradimento delle immagini

Mi piace molto parlare di film che non hanno avuto successo e di cui nessuno parla, perché sono nati non per accalappiare pubblico, ma per fare cinema, ossia arte, la settima. Così attratta dal titolo ho preso in biblioteca E morì con un falafel in mano di  Richard Lowenstein. Non appena ho infilato il dvd nel lettore, la stanza si è svuotata d’un colpo e ho capito che stavo per vedere un filmone.
Non spoilero niente se vi dico che il titolo riguarda la scena con cui inizia e finisce il film. Tra capo e coda sono raccontate le traversie di Danny, aspirante scrittore,  e dei suoi coinquilini, che si trasferiscono ogni tre mesi da un appartamento all’altro, senza mai trovare una soluzione definitiva.
Quelle che più mi hanno colpita sono due scene che il Morandini definisce “aduggiate da citazionismo cinefilo e filosofeggiante”, nelle quali invece io leggo una riflessione tipica della storia dell’arte del Novecento sul tradimento delle immagini e della rappresentazione e palese con l’opera di René Magritte Ceci n’est pas une pipe, ossia Questa non è una pipa. Perché se io prendo la pipa che il pittore surrealista ha dipinto sopra la scritta con il titolo, io non potrò mai fumarla, quindi quella dipinta non è una pipa, così come tutte le immagini rappresentate non sono reali, ma rappresentazioni della realtà. Nel film, questa concezione dell’arte è spiegata perfettamente dalla spiegazione che Nina dà a Danny di Solaris diretto da Andrej Tarkovskij, attraverso un muro che li separa a differenza dei protagonisti del film sovietico. “Chi ci dice che le cose non comincino a esistere solamente nel momento in cui le percepiamo” aveva chiesto prima Danny a Flip mentre sta facendo un’irreale tintarella di luna.

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