Quel Sanremo 2003 con Giuni Russo che combatte contro il cancro

Come ogni anno, mi dimentico di parlare del Festival di Sanremo, che detesto e non ho mai visto, se non una volta da piccola, quando ho raggiunto i miei compagni delle elementari in gita a Pietra Ligure il giorno dopo la loro partenza, perché io ero malata: sin da piccola salute di ferro 🙁 e le maestre per non farmi infettare i compagni mi hanno tenuta in camera con loro che si guardavano il Festival e quindi è toccato pure a me, che avevo la fedina penale intonsa e ho ben riscattato negli anni successivi.

Non lo sopporto perché come dice un vero grande della musica italiana: “la musica contemporanea mi butta giù”. E poi si esibiscono vere e proprie mummie che, come diceva un altro grande della musica italiana: “Nuntereggaepiù”. Mi soffoca il pensiero che proprio tutti quelli che Rino Gaetano non sopportava già nel 1978 siano ancora onnipresenti, è soltanto cambiato che a loro si sono aggiunti altre onnipresenze di cui io farei a meno. Poi tutto il rumore che fa ogni volta questo festival mi urta ancora di più.
Ieri sera anche a Blob – l’unico programma che guardo in televisione insieme con Quante storie – ha dovuto mostrare i momenti salienti di questa edizione, grazie ai quali mi sono ulteriormente sentita onorata di non vedere tanta monnezza.

Tuttavia, come già fatto in passato, mi piacerebbe scrivere di personaggi che hanno calcato il palco dell’Ariston per lanciare veramente un messaggio che dovrebbe restare indelebile. Anni fa ho parlato di Luigi Tenco.

Quest’anno vorrei ricordare Giuni Russo completamente cancellata dalla storia della musica, lei che ha cantato con estensione vocale unica l’unico tormentone estivo d’essai, questo per fortuna sì indimenticato, anche se temo soltanto perché tormentone, appunto. Sicuramente pochi avranno prestato testa al testo di Un’estate al mare che racconta di una prostituta che decide di trascorrere finalmente un’estate al mare con la spensieratezza di tutte le caratteristiche delle vacanze di una classica famiglia. La protagonista però si intuisce essere una donna particolare rispetto a quelle altre che battono per le strade mercenarie del sesso. Lei che per regalo vuole “un harmonizer, con quel trucco che sdoppia la voce”, rivelandoci tra l’altro chi è l’autore del testo perché l’harmonizer nel 1982 soltanto a Franco Battiato, autore del testo, può venire in mente. Poi il canto dei gabbiani non è assolutamente una registrazione in natura, ma tutto merito dell’estensione vocale di quasi cinque ottave della cantante. Insomma, dimenticarla non è giusto.

Quindi, vorrei ricordarla a Sanremo, quando nel 2003 si presentò pelata con la canzone Morirò d’amore, e invece l’anno dopo sarebbe morta di cancro, contro cui combatteva da 5 anni. Nulla è più tremendo soprattutto per una donna della perdita dei capelli, che è la manifesta dichiarazione di essere malata.

Anche per questo Sanremo mi fa schifo perché parla di tutte le puttanate del mondo, ma non di messaggi così importanti come quelli di una voce straordinaria che si presentò con un coraggio enorme mostrando la sua malattia senza implorare pietà, o per farne spettacolo.

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