Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec a Palazzo Reale
Ha inaugurato lunedì 16 ottobre 2017 e fino al 18 febbraio 2018 rimane in mostra al pian terreno di Palazzo Reale di Milano Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec.
“Bisogna vivere nel proprio tempo e dipingere ciò che si vede”
affermava Edouard Manet, e così a palazzo Reale possiamo fare un viaggio a ritroso nel tempo per immergerci in uno dei tempi più belli della storia: la Belle Epoque. Un mondo fatto soprattutto di donne bellissime e gente di spettacolo. Nei bistrot si beve forte. Maurice Utrillo inizia a 13 anni. Iperattivo e sofferente di crisi epilettiche, è la nonna a passargli l’alcol per calmarlo e invece segnandogli la vita con l’alcolismo. Poi l’arte come terapia per calmare un animo troppo inquieto dedito alla paesaggistica urbana. Con le sue opere ci conduce per la Francia del tempo: attraverso square, place, Fontainblue. Henri invece preferisce farci conoscere il mondo notturno della prostituzione e dell’avanspettacolo, che lo eleverà a protagonista assoluto dell’affiches, i manifesti pubblicitari: cosa c’è di più moderno in ambito artistico?
In mostra i supporti cambiano: poche sono le tele, nessuna tavola, tanti cartoni, litografie, stampe giapponesi, fotografie per un totale di oltre 250 opere (35 dipinti oltre a litografie, acqueforti, affiches e la serie completa di tutti i 22 manifesti realizzati da Toulouse-Lautrec, accompagnati da studi e bozzetti preparatori). Molte delle opere in mostra provengono dal museo di Albi dedicato all’artista, cui i genitori, i conti di Toulouse-Lautrec, diedero in consegna l’opera omnia del figlio, dopo che i musei parigini avevano rifiutato l’offerta. Aneddoto da cui si evince come Toulouse-Lautrec non fosse apprezzato dai suoi contemporanei accademici, con cui aveva studiato, ma soltanto dalle avanguardie.
Si alza il sipario: una donna con larga camicia da notte e capo con ampia cuffia sulla testa rossa sta sul palco con in braccio un gattino nero. Canta canzoni soltanto all’apparenza innocenti, in realtà piene di doppi sensi triviali. È May Belfort, una soubrette irlandese dai capelli ricci rossi, che tanto piacevano a Henri. In mostra l’uscita in scena è accostata alla Geisha che legge una lettera al chiaro di luna di Keisai Eisen. Secondo le intenzioni delle curatrici della mostra Danièle Devynck, direttrice del museo di Albi e Claudia Beltramo Ceppi Zevi, l’esposizione deve mettere in mostra i debiti di Toulouse-Lautrec nei confronti del giapponismo e della fotografia. Dalle stampe giapponesi prende soprattutto spunto per la forma che storpia le figure in pose poco naturali, nello scatto del segno, trae il piatto sovrapporsi dei piani dell’immagine, il taglio obliquo degli scorci e l’uso del colore puro e privo di sfumature. Alla fotografia si rivolge per la sua capacità di cogliere l’istante e come tecnica moderna di registrazione del reale. Ne fa un uso particolare: probabilmente Toulouse-Lautrec non scattò mai una foto in vita sua, ma gli piaceva farsi fotografare in pose anche trasgressive e stravaganti per giocare con ironia sul suo aspetto che non gli piaceva (soffriva di nanismo e grave gracilità ossea). Si vede mentre defeca a terra e mentre fa il morto in mare tutto nudo. La veste si tinge dopo vari disegni preparatori di un rosso che richiama la macchia rossa della Crocifissione del Masaccio a Capodimonte. Ma la Belfort ha le mani raccolte per tenere in grembo il gattino, Maddalena le spalanca a Cristo. Che magnifico esempio di anteprima espressionistica ci ha lasciato Masaccio!
Ci sono altre muse in mostra di Henri c’è Jane Avril, che nelle sue memorie scrisse: “Senza dubbio è a lui che devo la celebrità di cui ho goduto sin dal mio primo manifesto”. Storta, anche lei con i capelli rossi si contorce, come il serpente che è stampato aggrovigliato sul suo abito stretto e nero. In questa pare cantare, invece in un’altra balla il cancan. Come la donna protagonista del manifesto sul Moulin Rouge, lavoro che ebbe un grande successo al punto che fu pubblicato persino sul foglio repubblicano Le Paris. Tra le altre muse Yvette Guilbert e La Goulue, la quale, appena trasferitasi, iniziò a lavorare come lavandaia, senza riuscire a spegnere la passione per Montemertre, dove si recava indossando gli abiti da sera delle clienti della lavanderia, per andare a ballare di nascosto dai genitori. Dopo iniziò la sua carriera al Circo Fernando, prima, poi divenne la regina del cancan. Nel manifesto dedicato a questo ballo, gli spettatori sono sagome nere, trasformate per l’influsso dell’arte giapponese in ombre cinesi. Alla fine del percorso espositivo un’ampia sezione mostra ancora l’amore di Henri per le donne, facendoci spiare dal buco della serratura le case chiuse che frequentava. Ma non ci troviamo in un lupanare pompeiano, tanto meno di fronte alle stampe giapponesi di Utamaro, presenti in mostra, ma davanti a un poetico mondo muliebre lontano dal peccato e dall’oscenità, che Henri coglie in piccoli gesti quotidiani come lavarsi, dormire, abbandonandosi A letto a un amore lesbo, forse l’unico vero laddove si consumano tanto sesso e poche tenerezze. Clicca qui per vedere la gallery delle immagini in mostra.
La mostra, che conta già 49mila prenotazioni, è aperta lunedì dalle 14.30 alle 19.30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 9.30 alle 19.30. Giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30. il costo del biglietto è di 14 euro, salvo eventuali riduzioni.