La passione di Cristo nel cinema
Della passione di Cristo tanto si è detto al cinema. Perché – e lo dice un’agnostica – la sceneggiatura ha tutti gli ingredienti per appassionare lo spettatore: c’è la poesia, il racconto di una storia appassionante, il prodigioso che rende Cristo meglio di un supereroe. Il primo a volerla dirigere è Pier Paolo Pasolini con Accattone nel 1961 e poi nel 1964 che con Il vangelo secondo Matteo i quali portano sullo schermo le storie di umili emarginati con il suo lirismo fotografico e sublimizzato dalle sonate di Johann Sebastian Bach. Ma molto s’è detto di questo film. Meno di Accattone, altro film sulla passione di un emarginato, una vita ossessionata dalla morte. Anche qui Bach, inutile a dirsi, per trascendere. Lo stesso vale per Mamma Roma, dove Ettore – altro emarginato pasoliniano- finisce in croce in sanatorio. Che la passione di Cristo fosse leitmotiv del’autore friulano lo dice anche La ricotta, che si serve degli eccentrici Pontormo e Rosso Fiorentino per dipingerla. Lo stesso lirismo della fotografia di Pasolini torna in Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco a contrasto forte con i personaggi bruti e vili che recitano nel film. Cristo non viene crocifisso, ma sciolto nell’acido, mentre ad altri poveri cristi subumani toccherà questa sorte, alleggerita e graziata dal violino di Bach. Il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli è un figaccione, tutto pulito e occhioni. Passion di Mel Gibson non l’ho visto e non lo vedrò. Più eretico di Ciprì e Maresco è Martin Scorsese con il film del 1988 L’ultima tentazione di Cristo. Qual è? Rinnegare in croce la natura divina per godere della sola umana. Darsi al piacere della carne, fare figli, invecchiare, temere la morte, tutto facendosi guidare da un angelo, che soltanto alla fine scopre essere lucifero. E quindi redimersi, e sacrificarsi sulla croce per salvare l’umanità.