Il romanticismo per la prima volta in mostra alle Gallerie d’Italia

Con la mostra Il romanticismo fino al 17 marzo 2019 alle Gallerie d’Italia in piazza Scala a Milano, la curatela di Fernando Mazzocca scavalca due motivi oramai divenuti un must nel capoluogo lombardo: la netta predilezione per l’impressionismo e la messa in mostra soprattutto di opere pittoriche. L’impressionismo è indubbiamente una corrente dell’arte contemporanea di immensa importanza, ma con il Novecento e qualche secolo prima ancora, tante altre tendenze hanno segnato un fondamentale stravolgimento nella storia dell’arte che, indubbiamente, non rappacificano l’animo come la pittura en plein air ricettatrice di luce, ma turbano, stravolgono gli animi e spesso riproducono le bassezze umane. Ci sono poi l’arte astratta e quella concettuale che, manco a dirsi non sono dimenticate, ma cancellate dal panorama mostre. Il Mudec- Museo delle Culture ha fatto un tentativo con Paul Klee, incentrandola sulla ricerca delle origini e sottovalutando così la portata rivoluzionaria dell’astrattista svizzero. Ma i secessionisti? Gli espressionisti? I concettuali? Negletti del tutto. E se si azzarda con l’arte contemporanea, si sceglie il cubismo Picasso, un grande nome, quasi a scusarsi dell’azzardo, oppure Klimt il più decorativo dei secessionisti. Invece con il Romanticismo alle Gallerie di piazza Scala si compie un passo di lato. Non hanno forza rivoluzionaria le opere del periodo, ma c’è la possibilità di godersi per la prima volta un altro genere attraverso 200 opere, che non sono poche, e ben spiegano il movimento pittorico, ma anche letterario. Giuseppe Pompeo Bertini immortala nel 1851 il padre della letteratura italiana con Il Trionfo di Dante. Ci sono, poi, diversi soggetti che rappresentano i personaggi manzoniani: Lucia con l’aureola a raggiera tra i capelli, c’è la monaca di Monza con il suo ciuffo ribelle, l’Innominato, crudele signorotto, simbolo della possibilità di cambiare. E c’è anche l’autore: Alessandro Manzoni nel celebre ritratto di Francisco Hayez, oppure nella versione di Molteni e Massimo d’Azeglio. Di Hayez sono tante le opere in mostra, tra le altre, oltre all’Innominato suddetto, il Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe del 1833 evidenzia una delle caratteristiche più notevoli di questo periodo: la resa perfetta, quasi tattile dei tessuti, mentre gli abiti degli innamorati de Il bacio hanno valenza simbolica di abbraccio tra bandiere, ossia nazioni. Gli altri personaggi ritratti sono presi a prestito o dalla storia o tra le classi più povere. Due le opere più rappresentative in tal senso sono di Giuseppe Molteni. Chi in una vecchia casa di campagna non ha visto un bricco d’acciaio per latte come quello che stringe in mano Il ragazzetto venditore di latte con capra al guinzaglio di corda? Lo spazzacamino accanto pare uno dei bambini immigrati in fuga.
Massimo d’Azeglio, ne Lo studio del pittore a Napoli del 1827 quasi evoca la metafisica, così come La sacra di san Michele che Giuseppe Pietro Bagetti arrocca su nuvole diafane che sembra l’Olimpo. Le nuvole dello stesso pittore acquistano consistenza nel Notturno con effetto di luna. Anche il Tifone nel Golfo di Procida, dipinto nel1842 da Salvatore Fergola, pur rivolgendosi alla pittura di genere del paesaggio, cui la mostra dedica un’intera sala, fa l’occhiolino al realismo con la nave di eroici marinai che si spingono a – come si dice in Sicilia – “tagliare la coda del ratto” per impedire al tifone di abbattersi con eccessiva forza.
Ma in mostra il romanticismo migliore è quello declinato nella scultura. Chi ha visto una mostra di sculture negli ultimi anni? La scultura è fortemente negletta dal sistema espositivo. Per questo, le sculture alle Gallerie d’Italia acquistano un valore ancora maggiore. La scultura classica è quella che ancora ha qualche riconoscimento nel milanese. Penso alla Fondazione Prada e Milano conserva la più bella scultura di sempre: la Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti. Ricordo quando avevano appena inaugurato la sala intitolata all’opera all’interno del Castello Sforzesco, che, vedendola lì emaciata, sofferente, non finita al centro della stanza, precipitai in un silenzio terrorizzante: mi trovavo davanti alla morte corrosiva che già mostrava con il non finito la decomposizione post mortem. Che suggestione. Al Museo Poldi Pezzoli, poco più avanti delle gallerie c’è l’altra scultura più bella di sempre: La fiducia in dio di Lorenzo Bartolini. Quando l’ho vista per la prima volta inginocchiata accanto a me, ho pianto, tanto è il potere suggestivo di questa donna de-pressa (nel senso etimologico) dalla morte del marito. Completamente svestita, mostra senza vergogna nudità e una pancetta che oggi tutti arborerebbero, invece Bartolini sceglie di evidenziare con un netto taglio del marmo dentro cui sprofonda un dolore che non si può contenere tanto segnante che tutto il corpo della donna pare essere risucchiato dentro quella piaga di sofferenza. C’è una copia dello stesso autore alle Gallerie d’Italia. E poi ci sono sparse tante opere di Vincenzo Vela. La più riconoscibile è Spartaco che, spezzate le catene di una libertà tolta, affronta incattivito in volto l’aria, pronto a riprendersi la sua libertà. La preghiera del mattino indossa una tunica incorniciata da un merletto ricamato nel duro marmo e riprendendo quel gusto tipico della corrente per la resa realistica delle stoffe. La veste è fatta cadere lasciva sul corpo nudo così come fa cascare la propria marmorea la scultura che dialoga con la Meditazione di Hayez.
Giovanni Strazza è il più commovente di tutti gli scultori in mostra, con due opere mozzafiato: La Vergine velata che lascia di stucco per quel velo che pare tirato con il pennello nel marmo. E Ismaele abbandonato nel deserto: una lastra di marmo depositata in orizzontale dalla quale emerge quasi in un bassorilievo  un abbandono tremendo. L’opera mostra strette similitudini con l’Abele morente (1842) di Giovanni Duprè, aspramente criticato per la troppa adesione al vero tanto che alcuni lo accusarono di aver fatto un semplice calco, tanta era la fedeltà al “vero naturale”. Infine non volano, ma stanno sedute accovacciate come La fiducia in Dio, le donne alate di Pietro Tenerani.

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2 Risposte

  1. Sonia ha detto:

    La mostra un’esperienza emozionante, rievocata magnificamente nelle tue descrizioni. Grazie Sonia

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