Quando le collezioni private diventano un bene pubblico. Da Van Gogh a Picasso: a Palazzo Reale i capolavori del Guggenheim di New York
I collezionisti privati spesso hanno composto delle raccolte private lungimiranti, riuscendo davvero a captare lo spirito di un’epoca. A Milano, i coniugi Boschi -Di Stefano con il loro mecenatismo hanno elevato la propria casa a fondazione-casa-museo, letteralmente depredata dal Museo del Novecento che da via Jan 15 ha preso alcuni dei suoi pezzi migliori: L’uovo con impronta e Achrome di Piero Manzoni, I costruttori di Mario Sironi, Les brioches di Giorgio de Chirico. Tanti Morandi e Fontana. E sicuramente nell’ex-arengario ora godono di maggiore visibilità, ma bisognerebbe scoprire e cercare certi tesori nascosti. E poi io credo sia stata guastata tutta la veggenza dei due coniugi che in casa avevano il meglio del Novecento italiano. Tolti, oltretutto da questo appartamento liberty, dietro corso Buenos Aires, che restituisce anche architettonicamente il gusto di un’epoca. E, a New York, una famiglia ebraica, proprio negli anni in cui se ne voleva mettere in luce l’inferiorità, pur contraddetti dai fatti, costruiva una delle più rappresentative e complete collezioni delle avanguardie contemporanee: quella della famiglia Thannhauser, mercante d’arte che nella prima metà del Novecento riunì una straordinaria raccolta di opere d’arte che poi donò alla Solomon R. Guggenheim Foundation. In prestito a Palazzo Reale, fino al 1 marzo 2020, l’avanguardia inizia dal principio, individuato in Paul Cezanne dalla provenienza delle forme della realtà del segno artistico dalla forma geometrica e così L’uomo a braccia conserte ha per faccia un trapezio rovesciato spigoloso e per corpo un altro trapezio più grande che abbraccia il deltoide, come esplicita più spudoratamente nella Donna con caffettiera. IN mostra, questa riduzione alla geometria si comprende meglio nelle nature morte dove ogni oggetto riprodotto facilmente proviene da un a forma geometrica. Le pesche sul piatto altro non sono che tante sfere profumate e coperte da pelose bucce; il fiasco di vetro – perfettamente reso – è una sfera sovrastata da un cilindro, e così via. Per questo, nella prima stanza, con Cezanne sta Paul Signac, anch’egli ossessionato dal segno – stavolta il tratto, la cui lunghezza e direzione dà precisa epressione (o impressione?) di qualcosa. Impressione perché subito dopo arrivano gli impressionisti: ci sono Eduard Manet con la Donna allo specchio e Donna con vestito a righe, che restituisce la moda del tempo, dopo 4 anni di restauri, come spiega fiera la curatrice Megan Fontanella, anni dei quali va molto fiera perché ben rappresentano uno dei progetti di ricerca e di restauro che l’equipe del Solomon Guggenheim Museum di New York porta ambiziosamente avanti. E ancora una presenza femminile, stavolta a opera di Pierre-Auguste Renoir, è la Donna con pappagallino, vestita di nero e stretta da un fioccone rosso, che illumina la tela insieme al verde della pianta ai suoi piedi e dell’uccelletto poggiato sulla mano. E così avanti fino al principale rappresentante dell’impressionismo, dal cui quadro il movimento prese la denominazione: Claude Monet che illumina la mostra con la Veduta di Venezia, talmente ripresa dal vivo en plein air che riconosciamo il punto in cui l’artista se ne doveva stare a dipingere: da san Giorgio Maggiore dipinge alla luce rosa del tramonto palazzo Ducale. E, mentre Cezanne apre la strada al cubismo, Monet lo fa all’altra linea del Novecento: l’astrattismo. La passerella muliebre continua a sfilare a Palazzo Reale fino alla fine, quando culmina nell’ultima sala con tre tele di Pablo Picasso – del quale sono 13 i lavori in mostra, tra gli altri, Strada con sottopasso fa camminare controcorrente rispetto alle righe tirate del colore una donna in lutto. E tra la neve luminosissima di Paesaggio con la neve, un ragazzo con il giaccone a scaldarlo e il suo cane in pendant, sono in cammino a passo lento verso casa. – tutte dedicate a donne, per le quali il pittore spagnolo aveva passione sia nella vita reale che in quella professionale. Tele che ben illustrano le diverse fasi pittoriche dell’artista spagnolo simbolo del Novecento: Fernande con una mantiglia nera, Donna seduta, di primitivismo classico, e la morbida Donna con i capelli gialli. Carrellata al femminile interrotta a metà dagli artisti del Cavaliere Blu. Una sala fa suonare come sinfonie le Composizioni pittoriche di Vasilij Vasil’evič Kandinskij, e la sua Montagna blu, risalita da suoi tipici cavalieri. A fianco è esposta la gigantesca Mucca gialla con cui Franz Marc dette origine all’espressionismo. Mentre dissuona al violino, attraverso i colori, L’Aiuola di Paul Klee. A metà del percorso espositivo, compare anche un outsider delle mostre: Henri Rousseau, che con un’opera più naïf che mai, dal titolo I giocatori di football, esplode di felicità e conquista così il ruolo di protagonista di un’intera sala con l’esposizione accanto di Artiglieri, tutti uguali – anche ai giocatori di football – dietro lunghi baffoni e in posa per il Doganiere, chi in piedi, chi seduto sul cannone, o appoggiato sulla ruota per caricare l’arma. E con il Doganiere non manca proprio nessuno dei grandi artisti che hanno fatto l’arte del Novecento.