Montalbano Elicona, il monte di ispirazione del castello svevo e di chiese
La Sicilia è puntellata di castelli, saraceni su tutti, vedette contro le invasioni che arrivavano dal mare. La costa saracena ne è piena, a dimostrazione che la terra Trinacra era molto ambita.
A Montalbano Elicona, invece, il castello ha origini sveve e in origine non nasce per scopi difensivi , ma residenziali, come dimostra la posizione tra le colonie greche di Tyndaris e Taurmina, con il godimento delle acque del fiume Tirone.
Montalbano Elicona deriva il suo nome dall’altura, dove si arrampica a quasi mille metri sopra il livello del mare, e che spesso imbianca: mons albus (dal latino monte bianco, appunto) e dall’Elicona, il monte greco delle Muse, che certo qui ispirarono grandi opere.
A Montalbano Elicona fu il conte Ruggero, successivamente Ruggero II, a essere ispirato per la realizzazione del castello svevo che sorge in cima al paese. Federico di Svevia vorrà il fortilizio pentagonale addossato sul lato nord di cui si vedono tre lati. Ribadendo la passione del sovrano per l’architettura, la geometria, benché non insistente come gli ottagoni di Castel del Monte ad Andria e per l’astronomia: a poco meno di 30 minuti da qui e ci si trova all’osservatorio completamente naturale dell’Argimusco. La discendenza sveva viene portata avanti da Corradino, che dalla Bassa Baviera fu riconosciuto re di Gerusalemme e duca di Svevia, ma non re di Sicilia. Dopo i Vespri siciliani, subentrano gli Angioini e viene incoronato legittimo re di Trinacria Federico III d’Aragona, il quale dota il castello di poderosi meccanismi di difesa, come le feritoie che consentono un raggio d’esplorazione di oltre 270 gradi, mentre per il nemico non ci può essere che una mirabile mira verso una fessura stretta e lunga. L‘intervento più importante di Federico III consiste nella ricostruzione della cappella della santissima Trinità, che ripete la combinazione costante dei portali trecenteschi: un profilo ogivale verso l’esterno e un arco ribassato verso l’interno. Le lunghe navate della cappella oggi ospitano il museo delle armi e quello della musica.
La fine del castello svevo è con i gesuiti che ne fanno un monastero, del quale da fuori è visibile la torre campanaria senza campana.
È difficile trovarle aperte, ma Montalbano Elicona merita anche una visita alle sue chiese, a partire dal Duomo intitolato all’Assunta e a San Nicolò vescovo. I fedeli vi entrano attraverso un monumentale portone originale con due colonne corinzie reggenti trabeazione spezzata che mozza pure il fiato. L’altra chiesa particolarmente suggestiva è intitolata a Santa Caterina d’Alessandria. Anch’essa spezza la grandiosità dell’ingresso, mozzandone i lati della scalinata. È, infatti, opera dei catari, in catalano “uomini buoni”, caratterizzati da una rigidità morale che rifiutava le ricchezze terrene e oppositori del sistema feudale e della chiesa cattolica. Il portale, infatti, com’era d’uso dei catari, è a tutto sesto e non a sesto acuto, con finestrella rettangolare sopra. E nella terra delle sante vergini, tramanda la storia di un’altra di loro. Anche santa Caterina d’Alessandria, come santa Lucia, santa Rosalia e sant’Agata, bellissima al punto che Massimiano (le fonti parlano di Massenzio, ma è probabile errore dei copisti) desiderandola a tutti i costi, la volle convertire. Prima inviandole 40 retori che furono loro tutti convertiti al cattolicesimo. Allora decide di darle il martirio della ruota dentata che però si spezza, costringendolo a decapitarla e dalla decollazione non esce sangue, ma latte a dimostrarne la purezza.A Montalbano Elicona, la devozione per l’Assunta è importante al punto che a Ferragosto si fa l’insabbiata che come l’infiorata, disegna temi sacri con sabbie colorate.