Paterson e il ripetersi della quotidianità

Paterson è la storia dell’autista di un autobus che si chiama come la località attraverso cui si muove, Paterson appunto. Ci immagineremmo di vedere una serie di vicissitudini attraverso la località. E invece la vita di Paterson è un dejavu, per cui esperienze già vissute si ripetono tutti i giorni della settimana uguali a quelle della mattina o sera precedenti. Uguali sono pure le inquadrature che riprendono il susseguirsi iterato degli eventi, come se il regista Jim Jarmusch facesse ancora vivere quei due amanti che sono i soli a poter sopravvivere. Dormire e con loro anche Lui che, sdraiato sulla poltrona del cinema, sbava sulla manica. Svegliarsi alla mattina presto senza sveglia alcuna e con loro anche Lui, che mi tocca richiamare all’ordine. Andare a lavoro. Tornare a casa. Portare fuori il cane, come mi piacerebbe. Bere una birra al pub con gli amici, Lui con Marco all’uscita del cinema, se il pub fosse ancora aperto.

Le varianti stanno intorno. No, non sull’autobus, dove si vedono soltanto corpi seduti. Ricordo quando tornavo tutti i giorni a casa con gli amici. Sulla 56 c’era di tutto. Io con i compagni di scuola che tornavamo per via Padova con cartelle tutte gigantesche, ad eccezione della mia: una borsetta color verde con dentro quaderni, il diario e un astuccio rosso. Nient’altro, se non l’approfittarsi della vicina di banco sui cui libri leggevo anche io. E niente tutti i giorni stesso percorso con le stesse persone. C’era la compagna delle medie, la sua amica, lo sfigato della classe, che un giorno, aperte le porte saliscendi ha lanciato sulla faccia di un’altra passeggera la carta straunta della focaccia. Facevamo un baccano inaudito. C’erano gli arroganti che fumavano. Oggi  farei in continuazione cazziatoni sull’inciviltà, mentre ai tempi ridevo. Paterson non assiste a niente di tutto questo, soltanto un giorno a due amici che si raccontano avventure strampalate. Perché Paterson è un buon ascoltatore e anche un parlatore, o meglio uno scrittore. Scrive poesie su un taccuino che la compagna Laura continua ripetergli di copiare, ma lui non sopporta l’iterazione della copiatura e non lo fa.

Su Internazionale, Francesco Boille lamenta un eccesso di poesia. Ci sono quelle che scrive Paterson, quella che gli legge una bambina, quelle di Jacques Prevert, l’altra che dirige il regista. E per fortuna che c’è ancora poesia. Dopo che ho fatto zumba, sentendo le peggiori zarrate che la musica contemporanea offre, stamattina ho ascoltato la Nona di Beethoven. A me piace molto la musica sinfonica, capace, in alcuni casi come la poesia, di avvicinare l’uomo all’ultraterreno.

“Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!”

[FriedrichSchiller, Inno alla gioia– An die Freude]

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