Il dramma della solitudine di ‘Moon’

And the stars look very different today

Dopo aver pubblicato il contributo della psico-oncologa Elena Pagani, vi racconto la mia esperienza personale. Quando la dottoressa mi ha comunicato che la tac, fatta a seguito di perdita di coscienza, mostrava una macchia che necessitava accertamenti, ero tranquilla vista la mia giovane età, poi la risonanza e la diagnosi: “ha un tumore al cervello”. Come da caratteraccio, mi sono chiusa in una sorta di apatia emotiva per mostrarmi forte davanti agli altri, soprattutto ai miei familiari, quasi a far loro coraggio, ma me la stavo facendo sotto. Però la mia maschera da dura non l’ho mai tolta, se non quando mi sono caduti i capelli. Anche perché non volevo aggravare ancora di più il dolore dei miei genitori che, per l’occasione, indossavano la mia stessa maschera. Mia mamma male: si capiva che era  era terrorizzata. Poi con gli amici mi comportavo come se mi avessero diagnosticato un brutto raffreddore. Ma la notte no! Già ho sempre sofferto di insonnia normalmente, ma dormire (meglio non dormire) in stanza con altre due pazienti, che stavano veramente male non era rassicurante, e si dormiva ancora meno. Una si chiama pure come me, ma non sono superstiziosa!Non ho voluto alcun incontro con lo psicologo, malgrado me lo abbiano offerto più volte. C’è chi reagisce scherzandoci sopra, ma io non ci riesco proprio; chi sfidandosi e sfidando la malattia, io, attraverso Alimentarmente, condividendo le informazioni, che cerco quotidianamente per me, per far sì che tanto male e tante cicatrici servano a qualcosa non soltanto a me, ma anche agli altri. Maggiormente nelle mie corde è la reazione di Andrea Spinelli che si è dato a lunghe passeggiate, in cui anche io ho sempre amato e adoro perdermi. Credo che camminare, oltre a far viaggiare con i piedi, soprattutto faccia viaggiare con il pensiero, la riflessione e l’immaginazione.
Il tumore coinvolge i dintorni della persona, i famigliari del pazienti, innanzitutto, perché prima di tutto non è facile accettare l’idea che la persona che amiamo si ammali.

Si può provare paura, dunque, e scegliere la solitudine. Qualche sera fa ho rivisto in televisione Moon di Duncan Jones, figlio della stella David Bowie. È uno dei migliori film che ho visto negli ultimi anni. Il dramma della solitudine di Sam Bell, astronauta operaio che deve presto tornare sulla Terra per aver portato a termine un lavoro difficile per la Lunar Industries, quello di sfruttare la  pulita energia lunare. Difficile perché Sam è apparentemente completamente solo per tre anni, nel desolato territorio lunare. Con lui soltanto un robot e, però ignorandolo,  migliaia di cloni. La solitudine totale dà allucinazioni a Sam e cruenti effetti collaterali per un ragazzo sempre più emofiliaco. Fino all’incidente pochi giorni prima del rientro a casa. La solitudine di Sam non è soltanto contenutistica, ma anche formale. E, infatti l’attore che interpreta il protagonista è Sam Rockwell. Non poteva chiamarsi altrimenti. Sam Bell solitari+++++++o sulla luna, Rockwell solo sul set in quanto è l’unico attore di un film, sotterraneamente affollatissimo. E così la dicotomia forma- contenuto si sovrappone ancora più incisivamente. Affollatissimo perché alla Lunar Industries della vita di Sam nulla importa, niente di sua moglie e della piccola figlia che lo aspettano a casa in eterno (?). Perché alla scadenza del contratto triennale, un altro Sam, migliaia di Sam sostituiranno l’originale, così da non sprecare soldi per istruire un altro operaio. Siamo dinnanzi a uomini completamente disumani di fronte al denaro, contro l’unico aiutante di Sam: il robot Gerty, che più vede il suo protetto ammalarsi, più ne diventa empatico, di fronte a questa malattia ignota che giorno dopo giorno ne devasta sempre di più la mente e ne dilania il corpo. Gerty sembra proprio la torre di controllo che in Space oddity chiama il maggiore Tom. Basta sentire la canzone di papà David Bowie per accorgersi di quante allusioni ci siano nel film al testo. È un tema tipicamente novecentesco quello della macchina umanizzata e dell’uomo disumanizzato. Si pensi al dadaismo. Gerty poi non vi pare Rationalization Is On The March! di John Heartfield? Il robot che rimpiazza l’uomo.  E poi filtra plateale l’omaggio a 2001 Odissea nello spazio e all’occhio di Hal rubato dal Grande Fratello. Questi sono i riferimenti colti dell’Italia di oggi.

 

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