L’inefficienza esasperante dell’Inps

Va all’Inps a Portici, in via Martiri di Fani, di Napoli, è disoccupato e gli decurtano la pensione. Preso dalla disperazione, il 4 ottobre 2018, l’uomo 50enne si taglia le vene e cade in una pozza di sangue. L’uomo è stato portato all’ ospedale Maresca di Torre del Greco per le cure, ma le sue condizioni sarebbero molto gravi. Disperazione o esasperazione? Mi viene in mente il film  I, Daniel Blake, ma anche un mio caso personale. Settimana scorsa non sono riuscita ad aggiornare quotidianamente Alimentarmente perché ho passato le mie giornate con l’Inps di Milano per cercare di sbrigare una pratica ferma da loro da un anno. Il primo giorno l’ho passato al telefono con il call center. Ho chiamato 6 volte, una dietro l’altra, perché quando facevo come mi aveva detto l’operatore, mi accorgevo che non era possibile quanto mi avevano detto in linea. Mi hanno pure fatto il test di soddisfazione sul servizio, cui ovviamente ho risposto molto volentieri: non aspettavo altro. Ma la gran fregatura è che ti chiedono se è chiara l’indicizzazione del nastro registrato. Certo che una registrazione è chiara, ma l’aiuto che danno gli operatori è utile? No, questo si tutelano bene a non chiederlo: mica scemi! Decido quindi di recarmi alla sede Inps di via Pola a Milano per parlare faccia a faccia. Controllo gli orari sul sito e mi indica l’apertura. Mia sorella mi avvisa che la sede è chiusa allora chiamo il call center, ricordando che l’ottimo nastro registrato al tasto 1 forniva gli orari delle sedi inps. Chiamo, ma l’ottimo nastro registrato mi riattacca. Vado in via Pola, pur prevedendo un’altra colossale arrabbiatura. E ben ho immaginato! La sede effettivamente è chiusa e mi rimbalza in via Montebianco, dall’altra parte delle città. Se lavorano soltanto mezza giornata com’era segnalato per la sede di via Pola, mai sarei potuta arrivare in tempo. Così ci vado il giorno dopo: faccio la traversata di Milano all’alba e all’ingresso mi dicono che la sede di via Pola non riaprirà mai, probabilmente perché qui sono iperefficienti e risolutivi, spero. Ma sbaglio grosso! Dopo un’attesa interminabile arriva il mio turno. Mi reco allo sportello e mi dicono che la mia pratica è ferma alla medicina legale dell’Inps e che, soltanto perché sono furiosa, mi faranno il favore di darmi l’indirizzo dove richiederla di persona. Inutile a dirsi: è dall’altra parte della città e sta per chiudere. Domani devo perdere un’altra giornata. Nel frattempo in un altro sportello un anziano dà i numeri: facendo roteare la stampella che lo tiene in piedi sulla sua testa e contro l’impiegata grida: “patria, non avrai mai le mie ossa”. Rido, ma c’è da piangere. Lo accompagnano alla porta. Il giorno dopo inferocita vado in via Giambattista Vico alla sede inps indicatami segretamente e per farmi un favore personale. Ma come? È pieno di gente: il favore tanto personale non è, lo fanno a tutti. Spiego alla reception tutta la questione e l’impiegata mi dice che ho sbagliato sede: Voglio una stampella. Fin qui mi sono sempre contenuta, soltanto perché ho sempre ritenuto non abbia senso prendersela con l’impiegato. Ma perdo completamente il controllo e la ragazza, probabilmente abituata, mi tranquillizza perché devo spostarmi al civico accanto. Mi calmo, esco, entro nell’altra sede. Rispiego tutto da capo. Mi danno il numerino. Arriva una signora che, accompagnata da un medico, salta la fila e superando tutti noi deficienti in attesa sta un’ora a chiacchierare allo sportello. Torno dalla receptionist e chiedo come posso anch’io saltare la fila. Mi prega di sedermi. Lo faccio. È il mio turno e finalmente ho in mano il mio certificato e posso tornare ad aggiornare il mio blog, aspettando l’occasione -purtroppo drammatica – per raccontarvi questa impresa titanica all’Inps di Milano.

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