Il tumore al cervello non risponde all’immunoterapia
L’immunoterapia si rivela, ricerca dopo ricerca, un’arma sempre più efficace contro diversi tipi di tumore e ormai è ampiamente impiegata al fianco di asportazione chirurgica, radio e chemio terapia. Tuttavia, i tumori del cervello, specialmente le forme aggressive, come il glioblastoma, non rispondono bene alle comuni terapie immunologiche. Ne ha indagato il motivo una nuova ricerca, apparsa sulla rivista Nature Medicine, la quale ha esaminato i tumori del glioblastoma, per capire perché questa forma di cancro al cervello non risponda all’immunoterapia altrettanto bene degli altri tumori. In sintesi, l’immunoterapia mira a rafforzare il sistema immunitario per sconfiggere il cancro. La ricerca è stata condotta da un team di scienziati guidati da Raul Rabadan, professore di biologia sistemica e informatica biomedica alla Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons di New York City. Questi scienziati hanno spiegato che il cancro a volte blocca l’attività del sistema immunitario influenzando una proteina chiamata PD-1, presente sulle cellule immunitarie chiamate cellule T. Questa proteina aiuta a garantire che il sistema immunitario non esageri nella sua risposta quando reagisce alle minacce. Quando il PD-1 si lega ad un’altra proteina chiamata PD-L1, impedisce alle cellule T di attaccare altre cellule, incluse le cellule tumorali. Gli inibitori della proteina PD-1 hanno successo nella maggior parte dei tipi di cancro, motivo per cui questi scienziati si sono chiesti quale effetto avrebbero avuto questi farmaci nel glioblastoma. L’indagine è stata condotta su 66 pazienti con glioblastoma. Di questi, 17 hanno risposto all’immunoterapia per un periodo di almeno 6 mesi. Il resto di quei tumori aveva significativamente più mutazioni in un gene chiamato PTEN, che normalmente codifica per un enzima che agisce come soppressore del tumore.
Inoltre, il Prof. Rabadan con i suoi ricercatori ha scoperto che il maggior numero di mutazioni PTEN aumentava il numero di macrofagi, le cellule immunitarie che normalmente “mangiano” batteri, virus e altri microrganismi. I macrofagi, inoltre, sciacquano le cellule morte e i rifiuti cellulari, oltre a stimolare l’attività di altre cellule immunitarie. Nel glioblastoma, i macrofagi hanno innescato fattori di crescita, che hanno alimentato la crescita e la diffusione delle cellule tumorali. Inoltre, l’analisi ha rivelato che le cellule tumorali nei tumori come il glioblastoma erano strettamente legate tra loro, il che potrebbe rendere più difficile per le cellule immunitarie penetrare e distruggere il tumore. Tuttavia afferma Rabadan: “Siamo ancora all’inizio della comprensione dell’immunoterapia del cancro, in particolare nel glioblastoma, ma il nostro studio dimostra che potremmo essere in grado di prevedere quali pazienti di glioblastoma potrebbero trarre beneficio da questa terapia, inoltre abbiamo anche identificato nuovi bersagli per il trattamento che potrebbero migliorare l’immunoterapia per tutti i pazienti affetti da glioblastoma“.
Il primo studio al mondo per l’utilizzo dell’immunoterapia nella cura del glioblastoma è da attribuire a uno dei centri italiani maggiormente specializzati nell’immunoterapia: Siena. Ed è stato condotto dall’èquipe di Immunoterapia Oncologica dell’AOU Senese, diretta dal dottor Michele Maio, l’unico reparto interamente dedicato all’onco-immunologia nella sanità pubblica italiana. “Abbiamo trattato i primi quattro pazienti a gennaio – spiega Maio – e ne inseriremo altri nei prossimi mesi. Si tratta di una sperimentazione di fase due, che prevede la somministrazione di una nuova molecola che agisce sul sistema immunitario, per renderlo fortemente reattivo contro il tumore. I pazienti che possono essere inseriti nella sperimentazione sono quelli che hanno già effettuato, senza successo, il trattamento standard previsto per questa malattia e cioè una combinazione tra radioterapia e chemioterapia”. Anche il team senese ha diretto un nuovo anticorpo contro PD-1, ideato partendo dagli ottimi risultati ottenuti nell’utilizzo dell’immunoterapia in altre forme di tumori, tra cui melanoma e cancro al polmone. “L’immunoterapia – aggiunge l’immuno-oncologa Anna Maria Di Giacomo – ha iniziato a mostrare efficacia anche nel controllare metastasi a livello di sistema nervoso centrale e, per questo motivo, è stato disegnato uno studio proprio su un tumore primitivo del sistema nervoso centrale. Il glioblastoma, infatti, è un tumore con un’incidenza di 2 casi ogni 100mila persone, difficilmente aggredibile chirurgicamente perchè tende a infiltrarsi e recidiva frequentemente e, oltre al trattamento medico standard, non ci sono altre possibilità terapeutiche in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti”.