‘Jean Auguste Dominique Ingres; la vita artistica ai tempi di Napoleone’ a Palazzo Reale
La mia anima poi è riccamente alimentata da musica e soprattutto dall’arte che mi provocano suggestioni ed emozioni forti. Che l’arte abbia un potere terapeutico ve l’ho già descritto quando ho parlato dell’esperimento canadese e quando vi racconto di tutte le mostre che vado a visitare. Tra le migliori visitate di recente, oltre a quella di Antonello da Messina a Palazzo Reale e sul Romanticismo al Mudec, di recente ho visto nuovamente a Palazzo Reale, dal 12 marzo al 23 giugno 2019, “Jean Auguste Dominique Ingres; la vita artistica ai tempi di Napoleone”, a cura di Florence Viguier-Dutheil, direttrice del Musée Ingres di Montauban, principale prestatore delle opere esposte. Ingres è noto al pubblico soprattutto per le sue icone da tergo: La grande odalisca e La bagnante di Valpinçon. Poi è sempre stato ricordato all’ombra di Eugène Delacroix come principale esponente in Francia del neoclassicismo, Delacroix del romanticismo, rispettivamente Raffaello e Tiziano dell’Ottocento. E in mostra, c’è la Copia di autoritratto di Raffaello, a dichiarare l’effettiva influenza del pittore rinascimentale. Ingres tutto disegno, l’altro colore e temperamento. I disegni di solito sono guardati di sfuggita in mostra, ma in questa hanno un valore particolarmente importante, perché diceva Ingres: “Il disegno è la probità dell’arte”. Eppure io ci vedo del Tiziano nella donna di Giove e Antiope del 1851, conservato al Grand Palais (Musèe d’Orsay). E questo contrasto Ingres l’ha sempre pagato con una certa negligenza nei suoi confronti da parte dell’uomo del suo tempo, negligenza che lo ha toccato per tutti gli anni in cui lavorò in Francia e che lo costrinsero in Italia, dove visse dal 1804 al 1824 e dal 1835 al 1841, quando si insediò come direttore a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, a Roma. I suoi contemporanei rimproveravano al neoclassicismo il freddo ritorno all’antico e ai modelli del passato, mentre era in atto la rivoluzione. Ingres per i suoi è colpevole di aver vissuto sotto le barricate, malgrado molti dei lavori esposti siano i ritratti di Napoleone e degli uomini viri del suo tempo. Su tutti i grandi lavori dedicati a quel momento storico, Ingres ritrae Napoleone sul trono imperiale, che mostra il piccolo sovrano schiacciato dai simboli del potere. Come per il Mudec, la mostra acquista un plusvalore per le meravigliose opere scultoree in mostra. Una su tutte La Maddalena penitente di Canova, schiacciata dai capelli increspati sulle ginocchia piegate accanto al teschio –memento mori dal crocifisso pesante. Dopo quella lignea di Donatello, espressionista all’eccesso soprattutto per i tempi in cui fu concepita, nessuno scultore degno di fama si era cimentato con lo stesso soggetto, forse perché ritenuto affatto inarrivabile. E pare una scultura pure il Torso d’uomo dipinto dal pittore di Montauban nel 1799.
Il romanticismo, più stretto alle istanze rivoluzionarie, ebbe maggior presa sui suoi contemporanei, ma Ingres si riscatterà influenzando innumerevoli altri artisti successivi: Degas, Renoir, Manet, Dalì e persino Picasso, come dimostrano i debiti che Les Demoiselles d’Avignon hanno nei confronti del Bagno turco. Dormeuse nell’ultima sala è gemella della prostituta de La colazione sull’erba di Manet. Bellissima e lasciva affonda dentro un mantello-antro di velluto, reso in maniera tattile, color rossoValentino. Lo stesso colore che incappuccia lo Studio d’uomo seduto di profilo. Ed è la rappresentazione frontale della vicina Grande Odalisque.
E paradossalmente sarà l’arte più contemporanea a noi e più pop a dare il giusto tributo a Ingres: Man Ray nel 1924 realizza Violon d’Ingres (Il violino di Ingres) o Kiki, e l’altro giorno ho visto in una puntata dei Simpson; Bart vestito proprio come Napoleone sul trono imperiale, cui allude anche un video di Michael Jackson. Il percorso espositivo si chiude con un tributo del pittore francese a Leonardo da Vinci, di cui quest’anno si celebrano i 500 anni dell’anniversario della morte.
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