Resoconto tragicomico del mio ultimo followup
Ogni volta che devo affrontare il mio follow-up per verificare se il cancro è tornato o sta tornando sono nervosa e paranoica. All’inizio della malattia, non mi stava bene fossero troppo ravvicinati nei mesi perché significava ricevere radiazioni alla testa che certo non fanno bene al mio cervello. Così quando hanno allungato a sei mesi ero più tranquilla, pur ricevendo sempre qualche brutta notizia collaterale. Io una recidiva l’ho fatta, quindi la paura ce la fa sempre a sopraffarmi. Ora devo eseguire i controlli di rito ogni anno e me la faccio sotto perché non vorrei che sia lì zitto zitto a crescere senza farsi avvertire e darmi segnali per fregarmi. Paranoica, l’ho detto. E cerco di leggere i segnali, fare attività che mi deconcentrino dei miei brutti pensieri. Prima dell’ultimo followup mi sono data al Soul collage per sollevare un po’ il mio animo e ricevere il supporto e la serenità di tutte le amiche del corso. Ma continuava a tormentarmi il pensiero del superamento a oltranza dei livelli di PM10 in Lombardia e, soprattutto, nella mia Milano. Pensavo che io ce la metto tutta per non riammalarmi, seguo la dieta anticancro limitando al minimo gli sgarri e la mia vita sociale, faccio attività fisica intensa, mi sposto per distanze anche chilometriche rigorosamente a piedi persino da una città a un’altra, e poi una nuvola di cancro me la ingoio e la cammino tutti i giorni. Il giorno prima, che era una domenica, attraversando la Milano-Laghi verso Como, ho pure visto le fabbricchette gettare nuvoloni di fumo nero che ingoiamo pur di produrre sempre, anche nel giorno del riposo, inquiniamo pure che l’aria è pulita, probabilmente grazie alla geniale proposta del sindaco di Milano Beppe Sala di impedire ai viaggiatori di fumare all’aperto mentre aspettano l’autobus. Giuro, l’ha proposto!
All’alba arrivo al San Raffaele per gli esami, che nel mio caso consistono in una risonanza magnetica al cranio con conseguente lastra cranica per il controllo della taratura valvola drenante il liquor. Tutto qua? Magari, perché io prima della risonanza devo seguire una profilassi allergica devastante, perché vuoi che non sia allergica al mezzo di contrasto? Certo che lo sono.
Quindi inizio a prendere dalla sera prima dell’esame un cocktail ulcerante di cortisone e antistaminici. Il cortisone a me dà tutte le controindicazioni del bugiardino, oltre a disumani dolori al ventre comunemente non avvertiti e, quindi, mi dicono i medici, impossibili. Impossibili da reggere! In passato, ho persino avuto una crisi d’astinenza da cortisone, pur avendone ridotto mano a mano a la dose giornaliera, ma a me piace avere un rapporto conflittuale con la salute. Oltretutto assumo un gastroprotettore che però non ce la fa proprio a proteggermi da tutto quello che devo prendere, troppo anche per lui. La prima dose si colloca a partire da prima di cena, per poi svegliarmi nel cuore della notte e rincarare la dose. E, visto che mi sono dovuta svegliare scrivo sulla bacheca Facebook di Beppe Sala il post che poi ho condiviso sulla pagina di Alimentarmente. Di notte nessuno è subito pronto per cancellare le polemiche, ma io ormai sono bannata e sul suo non compaio.
Al mattino è obbligatorio il digiuno, non di farmaci, ovviamente, di cui invece è prevista un’abbuffata. Li prendo all’accettazione alla quale arrivo accompagnata da mio papà come raccomandato a pie’ di pagina del foglio della profilassi dove si legge “Perché portano sonnolenza“. Dondolo, in piedi non posso stare, faccio fatica anche a fare le scale, ma le scendo lo stesso spavalda. Arrivo finalmente alla meta. E mi sdraio sotto il macchinario, dopo che mi infilano l’aghetto con altre soluzioni antistaminiche. Io detesto il rumore, astio che si è acuito dopo i vari interventi al cervello subiti. In particolare, do i numeri quando avverto il rumore della lavatrice che mia madre – a questo punto credo volutamente per farmi impazzire – accende tutti i giorni, tutto il giorno, mentre io mi dilanio per il mal di testa. Entro in quel macchinario che ha tutto l’aspetto di una lavatrice e inizio con il prelavaggio che fa tic tic per accelerare e trasformarsi piano piano in tutti i rumori più fastidiosi udibili: c’è una sirena che si trasforma in quel rumore che sembrava stesse per arrivare un miracolo dell’era moderna annunciato da un rullo di tamburi e che invece chiamavano le vecchie connessioni internet per collegarsi in reti a 10k. E fin qui viene soltanto da ridere, ma non puoi perché bisogna rimanere immobili. Poi iniziano a urlare allarmi, sirene: altro che rimanere immobili, io preferirei scappare dalla catastrofe che sembra stia per travolgermi. Poi una vocina interrompe quel casino per avvisarti che sta arrivando in vena il tornado del mezzo di contrasto, quello per il quale ti sei drogata così tanto che anche Lou Reed implorerebbe pietà. Ecco perché non mettete un po’ di bella musica? Riesco soltanto ad ascoltare Heroin dei Velvet Underground, il tamburo in crescendo che annuncia il flash e piantala con quei bonghi, non siamo mica in Africa.
Basta è iniziato il delirio misto al terrore. La vocina avvisa che arriva la seconda dose del mezzo di contrasto, ma chiede se mi sento bene dal momento che i miei battiti sono bassissimi e le mani congelate. Certo si congela all’aperto e qui c’è il dio del gelo che soffia stallatiti dalla bocca e ho chiesto pure la coperta. Domani è polmonite assicurata nonostante abbia fatto il vaccino, grazie al tumore, posso prendermela eccome. L’avrò anche con tutto quel cortisone? O lo prescrivete apposta? Intanto suonano ancora campane, sirene, centrifuga per strizzarmi le orecchie, tic tac e poi la vocina ti dice che è finita e aggiunge che mi avrebbe portata alla Risonanza 2. Essendo strafatta e ormai sorda, grido, fuori controllo, che devo fare la pipì prima, di un’altra tortura di rumori. Il medico si avvicina e si complimenta perché sono stata immobile. Certo, ho una certa esperienza e poi dormo! Faccio la pipì e per poco non cado nel wc come Renton in Trainspotting. Poi vengo trascinata alla Risonanza 2 e, preoccupata, chiedo all’infermiera perché devo fare un’altra risonanza, visto che in sette anni non mi è mai capitato. Non ho capito niente, devo aspettare lì in osservazione, prima di andare a fare la lastra al cranio. Mi trascino ancora per qualche metro e litigo con una signora anziana che vuole e riesce a passarmi davanti. Lei esce tranquillamente subito e gnagnera che la sua valvola ha la taratura perfetta. E se ne va, lanciandomi un’occhiata di odio, Parte la musica di Ennio Morricone del duello finale di C’era una volta il West. Me l’ha mandata, lo so, ma i buoni vincono sempre nei film di Sergio Leone e allora Giù la testa, cogliona. Ora tocca a me (o meglio prima toccava a me) e se una donna così anziana ha a posto la valvola, a me deve andar male? Certo: è fuori tarataura e il tecnico mi prega di sedermi perché barcollo sempre di più. Gli spiego tutta la profilassi che ho preso e mi ascolta per e con pietà. Ovvio, la signora anziana ha vinto il duello e la mia valvola è fuori taratura. Esco, finalmente posso tornare a casa, ma mi ferma all’uscita da un altro viaggio in bagno alla Trainspotting l’infermiera ricordandomi che dopo quattro ore avrei dovuto assumere l’ultima dose della profilassi antiallergica. Mi trascino verso casa, apro la porta e rullo di tamburi: sta andando la lavatrice. DATEMI LA MIA DOSE. SUBITO, non mi servono quattro ore, voglio stordirmi e controllo come siamo messi con le emissioni a Milano:ancora pericolo rosso.
I wish that I was born a thousand years ago
I wish that I’d sailed the darkened seas
On a great big clipper ship
Going from this land here to that
Ah, in a sailor’s suit and cap
Away from the big city
Where a man cannot be freeVorrei essere nato mille anni fa
vorrei aver navigato per mari oscuri
su un grande veliero
navigare da una terra all’altra
ah, in abito e cappello da marinaio
Via dalla grande città
dove un uomo non può essere libero
dai mali di questa città…”